Quello che i social media non dicono

I social network servono a trovare lavoro? Se sì, quali piattaforme? E con quali risultati? Immaginiamo che le risposte a queste tre domande possano essere diverse in base alle esperienze avute nei primi contatti con il mondo del lavoro o con quello dei social network. Proviamo a rispondere anche noi. Si può trovare lavoro con un social media? La risposta è senz’altro affermativa. Ma, chiaramente, non è uno strumento diretto di assunzione. Avere un profilo su un social network significa esporsi, presentarsi, rendere pubblica una parte della nostra vita. Questo vale anche se settiamo in maniera restrittiva e vincolata i parametri della privacy. Il motivo è semplice: supponiamo che abbiate deciso di utilizzare Facebook solo per i vostri amici e al contempo siete in una fase della vostra vita in cui state cercando lavoro; come fate ad essere sicuri che nessuno dei vostri contatti intimi e stretti non possa essere il punto di collegamento con una opportunità di lavoro? Non potete esserlo ed è per questo che il solo fatto di iscriversi ad un social network è già un primo, piccolo, passo della vostra presentazione professionale.

Quali piattaforme di social networking sono adatte per la ricerca? Al momento, in Italia, c’è una piattaforma che più di altre è dedicata ai contatti professionali, Linkedin. Ma questo non vuol dire che possiamo e dobbiamo utilizzare solo quella quando siamo alla ricerca di opportunità professionali. Come detto poco sopra anche un social network generalista come Facebook può essere una importante vetrina per le nostre competenze. Quello che dobbiamo fare è imparare a considerare la nostra presenza on line anche in termini di visibilità, promozione di noi stessi, reputazione, affidabilità e considerazione da parte di un pubblico selezionato. Per questo motivo i social non possono, a nostro modo di vedere, soltanto essere un posto per il “cazzeggio”. Perlomeno abbiamo visto che utilizzarli anche per comunicare temi professionali può essere importante così come trascurare questo aspetto può essere dannoso e controproducente.

Questo significa (terza domanda) che i risultati possono essere buoni ma anche irrimediabilmente cattivi? In un articolo di Wired comparso qualche tempo fa veniva riportata l’ultima ricerca di Adecco insieme all’università Cattolica di Milano battezzata Work trends study. La sostanza? Il 35% dei recruiter (selezioantori) intervistati per il mercato italiano, circa 143, ha ammesso “di aver escluso potenziali candidati dalla selezione in seguito alla pubblicazione di contenuti o foto improprie sui profili social”. Capito? Nell’articolo, per essere chiari, si ribadisce anche che  “la web reputationnon è un giochino per fissati del web né un campo riservato ai brand o a una manciata di personaggi popolari: è l’altro lato della nostra presenza pubblica. Che potrebbe anche riservarci sgraditissime sorprese. Anzi, neanche quelle visto che non sapremo mai perché quella e-mail o quella telefonata non sono  arrivate“.

Per concludere, il nostro consiglio è abbastanza semplice. Attivate un profilo su di un social network, studiatene funzionalità e impostazioni nella maniera più precisa possibile, datevi una strategia per il suo utilizzo e, ogni volta che pubblicate qualcosa pensate: chi potrebbe leggere quello che sto scrivendo e come potrebbe interpretarlo?

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