Sharper, la notte dei ricercatori (2015 edition)

Sharper, la notte dei ricercatori. Ma anche di tutti quelli che ricercatori non sono ma dalla ricerca sono attratti, affascinati, incuriositi. Ma anche per quelli che hanno della ricerca un’idea vaga (e spesso pregiudizievole), superficiale o forse nemmeno sanno che anche in Italia (ad Ancona!) si fa ricerca scientifica. Sharper è un progetto europeo che ha l’obiettivo di avvicinare e sensibilizzare l’opinione pubblica alla scienza e al mondo dei ricercatori. Sharper è un evento dedicato a tutti e fatto per far conoscere a tutti la scienza e le sue meravigliose scoperte.

Venerdì 25 settembre a dimostrarlo ci penseranno professori e ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche che venerdì 25 settembre saranno in piazza dal pomeriggio fino alla sera. Quest’anno, la notte europea dei ricercatori compie 10 anni a conferma dell’interesse e del coinvolgimento di tanti, tra cittadini ed organizzatori, agli eventi proposti. La manifestazione rappresenta un modo nuovo di avvicinarsi ad un mondo che genera opportunità di crescita e sviluppo per tutti, grandi e piccini. La ricerca è spesso considerata “lontana” quando, invece, è molto più vicina di quello che pensiamo. È nella vita di tutti i giorni e di tutti noi. È un approfondimento sulla quotidianità e una lente di ingrandimento su temi che ci sembrano “sconosciuti” ma che invece sono assolutamente fruibili e comprensibili da coloro che ogni giorno, non smettono mai di osservare il Mondo per andare… oltre.

Il programma è denso di iniziative: esperimenti, dimostrazioni, speaker’s corner, spettacoli, talk scientifici, laboratori aperti e molto altro. Ci sono due eventi che sono per i quali è necessaria la prenotazione. Il primo è la Silent Disco che “andrà in onda” la sera del 25 settembre: per ballare ciascuno la sua musica ma insieme agli altri è necessario avere le cuffie che potete prenotare a questo indirizzo www.radioarancia.tv.  Il secondo evento per il quale potete prenotare la partecipazione (non è obbligatorio) è la visita alla nave oceanografica del CRN: per farlo potete andare su naveoceanografica.eventbrite.it e prenotare l’orario della vostra visita (ci sono 4 visite da 20 persone ciascuna, dalle 17 alle 19).

E l’Informagiovani che ci fa a Sharper? Oltre alla nostra disponibilità per tutte le informazioni che vi serviranno, ospiteremo i laboratori scientifici dedicati ai ragazzi delle scuole superiori durante la mattina (purtroppo sono per i ragazzi della scuola, a voi non rimarrà che vedere le foto) e poi, nel pomeriggio alle 18.00 lo spettacolo di lettura teatrale sulla storica scoperta del DNA.

Ecco tutto il resto del programma. Vi aspettiamo!

 

CoderDojo: imparare l’informatica giocando

coderdojo_bambiniSapete tutti cos’è un CoderDojo?
No? Bene, così questo post vi sarà utile perché scoprirete una cosa nuova e divertente.
Sì? Bene ugualmente perché alla fine di questo post troverete un’occasione interesante.

Ma partiamo da chi non ne sa nulla. Un CoderDojo è  un movimento senza scopo di lucro che organizza incontri gratuiti in cui i bambini imparano a programmare in modo ludico. I bambini di oggi sono bombardati di stimoli informatici ed elettronici e, spesso a nostra insaputa, apprendono velocemente concetti che a noi richiederebbero mesi. L’evoluzione tecnologica e la conseguente rivoluzione sociale che ne deriva stanno abbassando drasticamente l’età in cui un bambino entra non solo in contatto con gli strumenti di ultima generazione, ma riesce addirittura a padroneggiarne i meccanismi. CoderDojo ha una sola regola:

Above All: Be Cool“, bullying, lying, wasting people’s time and so on is uncool
(Soprattutto sii in gamba! Il bullismo, mentire e far perdere tempo non è da persone in gamba).
Il Coderdojo è un’attività che prevede la presenza di adulti che insegnano ai bambini la programmazione in maniera divertente e interattiva.
CoderDojo è un progetto internazionale che offre le basi della programmazione informatica per i giovanissimi. Nato in Irlanda nel 2011 il fenomeno si è esteso a macchia d’olio agli Stati Uniti, al Giappone e a mezza Europa (Regno Unito in primis), fino ad arrivare anche in Italia. E, da qualche settimana, anche ad Ancona. L’associazione che lo promuove si chiama, come era naturale, CoderDojo Ancona, ed è formato da un gruppo di volontari che prestano gratuitamente qualche ora del loro tempo libero per spiegare, giocare e divertire i bambini e ragazzi dai 7 ai 14 anni avvicinandoli alla tecnologia in un modo diverso rispetto al classico. C’è già un calendario di eventi (il primo, in programma per il 3 ottobre, è già pieno) e la notizia è che per l’appuntamento del 7 novembre saremo noi ad ospitare il dojo (evviva!).
Ed ora veniamo a chi sapeva già che cosa fosse un CoderDojo. Per tutti questi, c’è un annuncio che ci arriva direttamente dall’associazione di Ancona e che volentieri pubblichiamo. Stanno cercando Mentor! Che cosa è un mentor? Un Mentor è un volontario che partecipa agli eventi organizzati dal Dojo perchè ha una passione da condividere per l’informatica e per l’educazione e vuole divulgare questa forma di creatività ai più piccoli aiutandoli, supportandoli ed incoraggiondali davanti ai loro dubbi, ostacoli o perplessità. Il Mentor non è necessariamente un informatico, una persona con esperienza nel settore o uno “smanettone” ma è prima di tutto una persona capace di stare con piccoli creativi e che ha voglia di divertirsi. Che aspettate? Leggete qui sotto e candidatevi!

CoderDojo Ancona cerca Mentor. Sei uno studente o laureato in informatica, ingegneria informatica e scienze dell’educazione, sai utilizzare scratch e vuoi diventare parte dello staff di CodeDojo Ancona ? Stiamo cercando proprio te! Invia il tuo curriculum a info@coderdojoancona.it oppure compila la form all’indirizzo “http://www.coderdojoancona.it/diventa-mentor-anche-tu“. Sarai selezionato per affiancare i mentor di CoderDojo, movimento aperto, libero e gratuito, finalizzato alla promozione della digital culture tra i più giovani. L’obiettivo dei CoderDojo, club gratuiti diffusi in tutto il mondo, è promuovere tra i ragazzi dai 7 ai 17 anni l’apprendimento creativo del coding, ovvero della programmazione informatica. Imparare a programmare da piccoli favorisce infatti lo sviluppo di competenze utili a costruire storie, animazioni e videogiochi. Si potenzia così il pensiero computazionale, che favorisce un processo mentale basato sul ragionamento per la risoluzione dei problemi. I laboratori di CoderDojo si terranno normalmente ogni primo sabato del mese dalle 15 alle 18 negli spazi messi a disposizione dal Comune di Ancona (Lazzaretto, Biblioteca, Informagiovani, etc..). Le attività di formazione ruoteranno intorno al gioco, lo scambio reciproco ed il peer learning, secondo l’unica regola fondamentale di ogni dojo: Be Cool.! È possibile dare la disponibilità anche solo per un giorno. Cosa aspetti? Noi siamo già pronti per questa nuova esperienza. E tu? Per qualsiasi informazione o per partecipare visita il sito www.coderdojoancona.it

Facce nuove

facce nuoveBenvenuti! O, meglio, bentornati e benritrovati! Finalmente torna ad aggiornarsi il nostro spazio web che, dopo l’estate, ha fatto un po’ di lifting ;-). Come vedete, ha una faccia nuova! Abbiamo una nuova veste grafica ma non solo. Non ci siamo scostati troppo dalla precedente versione soprattutto per non creare troppo scompiglio e confusione (immaginavamo già mail e telefonate alla richiesta di chiarimenti su dove fossero finiti gli elenchi dei corsi o le offerte di lavoro; ah, presto anche queste avranno uno spazio tutto loro).

La novità vera di questo restyling è la possibilità che avremo di aggiungere funzionalità e servizi molto più che in passato: così a breve sarà possibile prenotare il propri posto ad un workshop direttamente da qui o leggere le offerte di lavoro in maniera più lineare (anche se al momento troverete più o meno tutto come prima). Le differenze sostanziali possiamo riassumerle, anche per dare modo di navigare con più facilità nelle pagine. Cambia la nostra home page e adesso, in alto a sinistra, scorrono con titoli brevi gli ultimi nostri post del blog. I nostri articoli che prima ruotavano in prima pagina sono adesso nella sezione “blog“, raggiungibile dal menù in alto appena sotto l’immagine di copertina. Il menù principale è organizzato più o meno come in precedenza (anche se abbiamo tolto un po’ di fronzoli): c’è una pagina dedicata alla sala conferenze perché da adesso il nostro locale lo potete affittare per i vostri eventi, abbiamo migliorato la pagina in cui trovate le nostre foto e una sezione interna (non più esterna) per quello che riguarda le opportunità europee.

La vera novità è anche l’aggiunta di una sezione in cui potete lasciare i vostri dati (bastano nome, cognome e mail) per rimanere aggiornati su quello che facciamo: la pagina newsletter è pensata proprio per questo e speriamo che in molti di voi ne approfitteranno. Come sempre saranno graditi suggerimenti, consigli e idee per continuare a migliorare anche questo spazio web.

Ma le facce nuove dell’Informagiovani non sono solo virtuali. Come vi avevamo preannunciato ci sono 4 nuove facce anche all’interno del nostro servizio. Sono quelle di Edy, Ilaria, Pietro e Viola i volontari del servizio civile che ci aiuteranno nel prossimo anno non solo a fare il lavoro quotidiano ma anche a organizzare eventi, iniziative e servizi nuovi (e presto li vedrete anche qui).

Buona navigazione!

L'estate addosso

family-vacationUna delle canzoni tormentone di questa estate si intitola “L’estate addosso”: mai come quest’anno forse l’estate la sentiamo così presente, con il caldo che non da tregua ma anche con giornate lunghe, luminose e bellissime. A parte l’afa, sta facendo una estate strepitosa! Potevamo non approfittarne anche noi? Risposta scontata: ne approfittiamo. E così anche quest’anno ci concediamo una pausa. L’informagiovani rimarrà chiuso dal 10 al 14 agosto e inoltre sarà aperto solo il mattino dal 5 all’8 e dal 17 al 20 agosto. Ma poi quando torneremo non mancheranno novità, sorprese ed eventi che stiamo già “cucinando” fin da adesso. Il primo appuntamento è per il 25 agosto: in programma abbiamo un workshop dedicato all’affitto per gli studenti universitari che proprio in quei giorni saranno alle prese con la ricerca di un alloggio, una stanza o un posto letto che possa accoglierli durante gli studi. Nei primi giorni di settembre torneremo a parlare inglese con gli interessanti workshop realizzati in collaborazione con The Victoria Company. Per il 4 settembre abbiamo scelto un titolo per dare respiro ai vostri desideri: Expand your world! Per completare il rientro delle vacanze il 25 settembre saremo tra i protagonisti e ospiti di Sharper, la notte dei ricercatori l’interessante iniziativa organizzata dall’Università Politecnica delle Marche in collaborazione con Fosforo; all’Informagiovani e per le piazze della città ci saranno gli scienziati (quelli veri) che daranno dimostrazione di come la ricerca può cambiare le nostre vite e anche meravigliarci un po’. Ma le novità non riguardano soltanto gli eventi. Vi ricordate che qualche tempo fa stavamo cercando volontari per il servizio civile? Ebbene, li abbiamo trovati! Da settembre a collaborare con noi saremo lieti di avere quattro giovani che hanno superato le prove per far parte del nostro team. Per sapere chi sono dovete cliccare sul sito del Comune di Ancona e vedere la graduatoria che è stata stilata dopo le prove. Noi li aspettiamo con entusiasmo: grazie a loro abbiamo idea di portare l’Informagiovani in tutta la città, con iniziative e interventi che possano arrivare anche nelle zone periferiche. La nostra idea è quella di far sentire il nostro servizio più vicino e utile per le ragazze e i ragazzi di tutta la città. Stiamo anche lavorando ad una nuova versione di questo spazio web: oltre alla sezione blog che oggi rappresenta il contenuto principale, attiveremo altri servizi in una veste grafica e di fruizione nuova e diversa: sarà possibile, attraverso il sito, accedere in maniera più facile e immediata ad alcuni servizi che eroghiamo solitamente allo sportello. In cantiere infine ci sono una serie di workshop esperienziali: dall’utilizzo del pc, alla realizzazione di un video curriculum, dalla gestione del proprio profilo sui social media alla redazione di una presentazione professionale  cercheremo di offrire occasioni per imparare facendo con l’aiuto di esperti di ogni settore. Ma per fare tutto questo, adesso, abbiamo bisogno di qualche giorno di vacanza. E, forse, ne avete bisogno anche voi. Buona estate addosso! PS: questo è l’ultimo post prima delle vacanze; gli articoli riprenderanno le loro uscite a settembre   [youtube https://www.youtube.com/watch?v=VHcAusNO3L4]

In estate si guarda al futuro

estate futuroChi di voi si rivolge a una maga o un veggente per scoprire che cosa gli accadrà domani? Speriamo nessuno. Così come speriamo che siano pochi anche coloro che fanno troppo affidamento sugli oroscopi, che in realtà sono solo un modo divertente e giocoso per provare a farci delle domande su noi stessi e non per sapere se domani vinceremo la lotteria o troveremo un nuovo lavoro fichissimo.

Ma così come sono poco precise le previsioni di chi si affida alle stelle, ai pianeti e agli astri in genere, altrettanto lo sono, ahinoi, anche quelle economiche, politiche e sociali. Chiaramente in questi casi la base su cui vengono fatte sono un po’ più scientifiche, tecniche, misurabili e comprensibili (oltre che realizzate per fini più nobili). Ma pur sempre si tratta di approssimazioni e non di verità. In questi tempi in cui siamo abituati ad affidarci alla tecnologia, rischiamo a volte di darle più importanza e fiducia di quanta ne meriterebbe. Un esempio? Le previsioni del tempo. A differenza di un tempo, oggi siamo abituati a circolare, smartphone alla mano, con l’ultima previsione del tempo sempre in tasca. e per sapere se tra poco pioverà, anziché alzare gli occhi al cielo, li puntiamo sul display cercando una risposta più precisa, vera, attendibile. Alzi la mano chi non è rimasto deluso almeno una volta dalla sentenza letta sul web. Questo accade perché per tutto ciò che riguarda il futuro, che ci piaccia o no, c’è sempre una parte che non possiamo conoscere.

E quando si tratta del nostro futuro? Come facciamo a capire che cosa ci accadrà? Veramente siamo solo in balia del “destino”? C’è chi dice che “il futuro non è un evento inaspettato, che un giorno arriverà all’improvviso e ci sorprenderà. Il futuro è fatto di tanti segnali che stanno già entrando dentro di noi e ci stanno già trasformando” Ma che vorrà dire? Hanno provato a spiegarlo e a delineare alcune linee che possono tratteggiare il futuro che ci aspetta alcuni “guru”, personalità ed esperti di settori diversi, che si sono incontrati per un evento lo scorso giugno a Milano. Grazie ai loro interventi, in due giorni è stato possibile abbozzare una prima ricognizione dei prossimi anni, cercando appunto di leggere i segnali di lunga portata, quelli che vanno al di là del singolo gadget, tecnologia o tendenza.

Li riprendiamo da questo post e ve li riproponiamo. Vi potranno sembrare forse un po’ evanescenti, a volte un po’ romanzati, altre volte troppo futuristici. A noi sono sembrati simpatici e, soprattutto, più che adatti per una leggera lettura estiva.  Ecco qua alcuni concetti base che, forse, diventeranno familiari da qui a 10 anni:

  • Hyper-reality: la iper-realtà, quella che possiamo ottenere grazie alle proiezioni di dati di un oggetto tecnologico su ciò che guardiamo (realtà aumentata), sarà il prolungamento del nostro sé con altri mezzi. Una estensione che comporta molte perdite, ma anche un potenziamento che mette i brividi.
  • Publi-cy: con questo neologismo nato dalle parole “pubblico” e “privacy” si vuole indicare una dimensione nella quale saremo immersi (o forse già lo siamo) nei prossimi anni; il pubblico e privato si fondono in una nuova dimensione in cui bisognerà rinegoziare di continuo quali informazioni vogliamo condividere e quali no (non lo state già facendo con i post su Facebook?)
  • Data artist: se è vero che i Big Data e l’Internet delle Cose faranno crescere in maniera esponenziale il numero di dati scambiati, avremo bisogno di una nuova figura professionale: il Data Artist. Di cosa si tratta? Qualcuno in grado del significato, della forma, del movimento, della trasformazione dei dati. In altre parole un designer che anziché lavorare sugli aspetti esteriori delle cose che vedremo, lo farà sul loro interno.
  • Inclusione e uguaglianza: forse queste due parole non sono fantascientifiche come le altre che avete letto poco sopra; ma sicuramente sono più comprensibili e forse anche più importanti. Non è una coincidenza se due degli interventi più applauditi dabbiano avuto una conclusione simile, nonostante in uno si parlasse di cultura museale e in un altro di politica. In entrambi i guru hanno lanciato un forte appello affinché il futuro sia anche più inclusivo e uguale: diventerà un campo di battaglia nei prossimi dieci anni (soprattutto nelle forme di protesta e disobbedienza civile).

E voi, che futuro vedete? Anche se non siete (siamo) guru possiamo utilizzare in un mix vincente le nostre conoscenze e le nostre fantasie per dar vita a qualche previsione affascinante. Una sola avvertenza: se l’idea geniale vi verrà dopo una giornata calda passata sotto il sole senza cappello, forse potrebbe trattarsi di qualcosa di diverso da una previsione futuristica 🙂

 

Fare da soli

fare da soliUno degli obiettivi del nostro servizio è quello di aiutare i giovani a essere autonomi. Cosa vuol dire autonomia? I più preparati in lingua forse potrebbero indovinare la risposta che abbiamo in mente noi. Autonomia è una parola che ha origine dalle parole greche autòs e nomòs: così composte potremmo dire che il significato trasportato in italiano suonerebbe come “la capacità di darsi delle regole e saperle rispettare” (oppure libertà d vivere con le proprie leggi). Quello che ci interessa di questa definizione è che in realtà autonomia non significa “fare quello che ci fare” e nemmeno indica una libertà non meglio definita. Autonomia non è quindi la possibilità di fare la prima cosa che ci viene in mente senza rendere conto a nessuno. Si tratta invece di altro.

L’autonomia è la capacità di poter decidere quale sarà la nostra linea di comportamento, quale saranno le direttive che seguiremo, quale regole ci daremo per raggiungere un obiettivo. L’esempio più semplice e immediato lo abbiamo nel passaggio dalla scuola superiore all’università o al mondo del lavoro. Dopo la scuola, all’università, non troveremo più insegnanti che ci daranno compito e eseguiranno interrogazioni a sorpresa per vedere se abbiamo studiato: c’è un calendario degli esami, ti devi iscrivere a una sessione, nessuno ti obbliga e il prof non ti viene a cercare se non dai l’esame. Idem nel lavoro: una volta trovato non sarà il datore di lavoro e ricordarvi passo passo quello che c’è da fare, suggerirvi come farlo eccetera. L’unico controllo sarà quello di verifica: se la mansione non è svolta, probabilmente il vostro lavoro durerà poco. Questa autonomia è legata fortemente a un altro concetto, quello di responsabilità: in altre parole una volta autonomi, siamo i soli a rispondere delle nostre azioni.

Ma l’autonomia non serve soltanto a prendersi responsabilità, ma anche e soprattutto a imparare a fare cose da soli. Allora la nostra domanda è: quante cose facciamo da soli? Non solo nel senso che siamo in grado di farle, ma anche in quello che decidiamo di farle da soli e non i  compagnia. PEr esempio: quanti di noi vanno al cinema da soli? Quanti si concedono una serata di svago senza una compagine di amicizie fisse? “La questione non è se ci divertiremo di più facendo qualcosa con gli amici piuttosto che da che soli, ma riguarda invece quelle volte in cui non abbiamo nessuno con cui andare al cinema o mangiare in un ristorante, e ci sentiamo a disagio a farlo da soli anche se sappiamo che probabilmente passeremmo un momento piacevole” spiega Rebecca Ratner, professoressa di marketing alla Robert H. Smith School of Business (qui trovate un articolo de Il Post che ne parla). Siamo convinti che non ci divertiremmo perché siamo preoccupati di quello che penseranno gli altri a vederci da soli: inisce che rimaniamo a casa invece di uscire perché abbiamo paura che gli altri penseranno che siamo degli sfigati. Alzi la mano chi ha fatto lameno una volta un pensiero del genere.

Ma gli altri, in realtà, non perdono tempo a giudicarci o a preoccuparsi dei fatti nostri. Non se ne curano quasi per niente, a dire il vero. Ci sono molte ricerche che dimostrano quanto costantemente e regolarmente esageriamo l’interesse degli altri verso di noi. Il fenomeno è ben conosciuto e in psicologia ha anche un nome: l’effetto riflettore. Viviamo convinti che un faro ci illumini costantemente attirando su di noi le attenzioni degli altri.” Si tratta anche in questo caso di mancanza di autonomia? Forse si tratta di poca autostima mixata con un po’ di cultura che, almeno dalle nostre parti, la fa da padrone. Ma l’autonomia è anche la capacità di aere il coraggio e la forza di portare avanti piccoli e grandi obiettivi non perché ce li hanno dati gli altri, ma soprattutto perché ce lo siamo detti da soli. vedere un film che ci piace è sicuramente un piccolo obiettivo, am se non troviamo nessuno che viene a vederlo con noi che facciamo? Se rinunciamo forse è un piccolo cedimento della nostra capacità di fare da soli: senza esagerare in azioni solitarie, qualche volta potremmo scegliere che vedere il film che ci piace è più importante di farlo con qualcuno. Se davvero ci piace gran parte del divertimento e del piacere starà nel vedere le scene, non nell’avere qualcuno che conosciamo seduto lì a fianco.

Scrive ancora la Ratner: “il modo migliore per liberarsi dell’imbarazzo di fare cose in pubblico da soli è probabilmente farle di più; abbiamo bisogno che le regole cambino un pochino. Abbiamo bisogno di persone convinte che divertirsi da soli sia una cosa figa e coraggiosa. Qualcuno deve iniziare questa nuova tendenza“. Volete voi essere i primi? Potrebbe essere una figata.

 

Leggere fa bene

leggere fa beneQuante volte vi è capitato di aver voglia di vivere un’avventura? Una storia affascinante e coinvolgente? Viaggiare in un’altra dimensione? Bene, potete farlo! Ed è semplicissimo: basta leggere un libro, meglio se un romanzo. Leggere un libro è una esperienza a cui diamo sempre più spesso un significato di mero svago, se non addirittura di inutilità. Invece rappresenta uno dei momenti in cui le nostre facoltà sono maggiormente sollecitate.

Ma quanto, noi italiani, leggiamo? Stando all’ISTAT non siamo proprio dei campioni. Nel 2014, oltre 23 milioni 750 mila persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista, per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2013, la quota di lettori di libri è scesa dal 43% al 41,4%. Quasi una famiglia su dieci (9,8%) non ha alcun libro in casa; il 63,5% ne ha al massimo 100. I “lettori forti”, cioè le persone che leggono in media almeno un libro al mese, sono il 14,3% dei lettori, una categoria sostanzialmente stabile nel tempo. Potremmo fare meglio anche se la lettura è condizionata dalla condizione familiare (più leggo i genitori, più leggeranno i figli) e da quella geografica (al Mezzogiorno si legge meno che al nord).

Ma perché leggere potrebbe farci bene? Quando leggiamo non solo la nostra mente ma tutti i nostri sensi sono pervasi dalle sensazioni che il racconto che stiamo seguendo ci evoca. “Immergersi in un romanzo vuol dire entrare in altri mondi e vivere altre vite, ampliare le proprie prospettive, scoprirne di nuove e farle proprie, viaggiare nello spazio e nel tempo. Vuol dire, a storia terminata, provare ulteriori emozioni: appagamento, straniamento, nostalgia e perfino sollievo se la lettura si è rivelata, come può succedere, tanto immersiva quanto destabilizzante o disturbante scrive Annamaria testa nel suo blog. Sostanzialmente si attivano aree del nostro cervello che provocano le stesse sensazioni che abbiamo quando sperimentiamo realmente quello che leggiamo: per esempio la parola gelsomino evoca la stessa sensazione che proviamo quando abbiamo vicino e tocchiamo un gelsomino; come se potessimo sentirne ugualmente il profumo.

Se l’autore che leggiamo è particolarmente bravo nella sua arte, ci potrebbe accadere anche di “vivere” un’esperienza narrativa come se fosse reale, non una finzione: “i testi dei grandi autori sfidano il lettore trasportandolo in un contesto nuovo in cui sta a lui trovare la propria strada, colmando le lacune e immedesimandosi nei personaggi. Insomma: è il lettore a dover interpretare l’opera, facendola propria. In questa prospettiva, leggere non è “simulare”, ma vivere pienamente una nuova esperienza, proiettandosi nei panni e negli ambienti dei personaggi.” (sempre Annamaria Testa).

Dunque ora non vi resta che scegliere un bel romanzo (anche più di uno!) e immergervi nella lettura, profonda, per buona parte di questa estate. Volete qualche spunto? La settimana scorsa c’è stata la cerimonia del Premio Strega, uno dei più importanti premi letterari italiani. Il vincitore è stato La ferocia di Nicola Lagioia, ma vale la pena prendere in considerazione anche gli altri candidati: Come donna innamorata di Marco Santagata, La sposa di Mauro Covacich, Chi manda le onde di Fabio Genovesi, Storia della bambina perduta della misteriosa Elena Ferrante. Correte in libreria e buona lettura!

Scambi giovanili, un'idea meravigliosa

Il nostro Informagiovani è un servizio aperto a tutti i giovani, studenti o universitari, in cerca di informazioni, consigli, orientamento e supporto nella realizzazione del loro progetto di studio, vita e lavoro. Tra le attività di consulenza che facciamo costantemente c’è quella di orientamento e informazione sulla possibilità di fare un’esperienza all’estero, come volontari, tirocinanti, lavoratori, ma prima di tutto, come partecipanti a uno scambio internazionale!

Condividere spazi, orari e cibo con coetanei di altri paesi è una palestra di convivenza, adattamento, rispetto e tolleranza potentissima: si impara presto a trovare un punto di incontro, a discutere produttivamente di un problema da risolvere, a tenere conto delle esigenza anche di chi ci sta vicino ed è diverso, o diversamente abituato, da noi. Stare per qualche giorno lontano da casa, senza i genitori che stressano, ma che al tempo stesso pensano a tutto anche per noi, è un assaggio della vita da giovani adulti, in grado di prendersi cura di se stessi a partire dalle piccole cose fino all’organizzazione della propria giornata.

Quest’anno l’organizzazione degli scambi è un po’ diversa dal passato: le diverse modalità di partecipazione, le scadenze e le progettazioni variate con il nuovo settennato di programmazione europea (2014-2020) ci hanno portato a doverci organizzare diversamente. Non vi presenteremo un pacchetto di scambi già pronto per l’estate (che era anche un po’ come organizzarvi le vacanze), ma lavoriamo e lavoreremo alla partecipazione in progetti di scambio che proporremo di volta in volta.  Rimangono invariate alcune cose: la durata degli scambi è di circa una settimana; le giornate sono programmate con attività varie, a seconda del tema principale dello scambio; la metodologia di lavoro è ispirata ai principi dell’educazione non formale e finalizzata all’apprendimento di capacità sociali e relazionali. Come in passato partecipare a uno scambio giovanile internazionale vi permetterà di imparare a relazionarvi e comunicare con persone di culture diverse, sperimentare abitudini differenti dalle solite, ideare e realizzare un progetto insieme ad altri, e molto altro ancora. In altre aprole, anche se son cambiate un po’ le modalità tecniche, crediamo ancora che partecipare a uno scambio sia un’idea meravigliosa!

E allora che aspettate? Noi abbiamo già pronta una proposta. Il primo campo disponibile quest’anno è “Dare to care, BE an ethical citizen!” in Romania, dal 6 al 13 settembre. Il campo è aperto a ragazzi/e tra i 15 e i 18 anni, e tratterà il tema del consumo etico, dell’impatto dei consumi dal punto di vista economico, ecologico e politico. Se cliccate qui potete conoscere altri particolari e scaricare un pacchetto informazioni completo. A questa pagina trovate un modulo con il quale vi sarà possibile rimanere aggiornati su altri scambi ed altre novità? Quali potrebbero essere? Innanzitutto stiamo aspettando lì’approvazione di altri progetti che consentiranno di partire in altri periodi e per altre destinazioni (la certezza l’avremo solo dopo il 15 luglio). Poi stiamo preparando dei veri e propri laboratori di progettazione per gli scambi, sia in invio che in accoglienza, aperti a gruppi informali di ragazzi/e e ad associazioni che vorrebbero pianificare e organizzare un’esperienza di scambio: con loro ragioneremo sugli obiettivi e metodologie degli scambi internazionali, sulle modalità di presentazione dei progetti e delle candidature, sulla scelta dai partner e sulle varie fasi di realizzazione delle attività, a partire dalla preparazione fino al follow up. Seguiteci e rimanete aggiornati!

 

 

Più vacanze per tutti!

Untitled3-e1377294231119.pngConsiderato il tempo e la data oggi parliamo di vacanze. Ora qualcuno si immaginerà, giustamente, che tratteremo di mete in paesi esotici, di arrampicate sui monti o di bagni in mezzo a piscine naturali piene di pesci. Ma su questi temi non siamo molto ferrati e, al massimo, potremmo riportare soltanto qualche piccola esperienza personale di poco conto. Invece scriviamo di vacanze perché la notizia è che le vacanze ci rendono più produttivi e ci aiutano anche a essere più efficaci nelle nostre mansioni professionali.

La cosa nasce da un’indagine fatta da due studiosi americani che hanno analizzato un campione di manager super impegnati ai quali è stato chiesto come preferissero lavorare: se con più tempo e calma o con meno tempo e più fretta. I risultati presentavano una variazione rispetto alla provenienza geografica dovuta al fatto che lo stile di lavoro risulta influenzato anche dalle abitudini e dalle consuetudini locali. Per esempio, i più vacanzieri sono gli svedesi e i brasiliani, con 41 giorni di ferie pagate, mentre negli Stati Uniti non c’è alcuna legge che regola il pagamento di giorni di vacanze e secondo le stime la media delle aziende americane è di 10 giorni di ferie pagate—e solo il 25% degli americani se li prende tutti. A ogni modo, il dato rilevante emerso è stato che i manager con più vacanze tendevano a essere più inclini a lavorare di fretta, a essere più concentrati e più impazienti. I dati raccolti hanno permesso di concludere che avere più vacanze aiuti i lavoratori a capire meglio l’importanza di essere efficienti e a dare il massimo quando se ne ha la possibilità.

Sembrerebbe quindi che prendersi un po’ di vacanze aiuti davvero a essere più produttivi: ma da cosa dipende questo aumento di produttività? Secondo lo studio che abbiamo brevemente illustrato sopra (e che potete leggere qui) si tratterebbe semplicemente di un fattore legato alla gestione del tempo: siccome so che ho meno tempo per fare lo stesso numero di cose, mi adopero per fare in maniera più efficiente. Prendersi una pausa non rinfrescherà il cervello permettendoci di lavorare di più, ma spendere meno tempo alla scrivania ci obbligherà a sprecare meno tempo.. Secondo la nostra modesta opinione ci sono anche altre ragioni per le quali il nostro lavoro può migliorare grazie alle vacanze.

In primo luogo c’è un fattore legato allo stress, il più evidente: il nostro cervello e il nostro corpo hanno bisogno anche di sperimentare contesti diversi da quello lavorativo, anche quando lavoriamo in un posto idilliaco. Chi di voi non si è trovato almeno una volta a tirare un sospiro di sollievo una volta varcata la soglia di uscita dal luogo di lavoro? Un altro fattore è rappresentato dalle opportunità di crescita che possiamo sfruttare all’esterno del nostro luogo di lavoro: per esempio non è detto che la vacanza si possa intendere solo come “svacco” e nullafacenza: per la maggior parte di noi fare vacanza significa anche dedicarsi in maniera più assidua a interessi e passioni, coltivare e sviluppare una competenza magari in maniera allegra e spensierata (molti sport per esempio aiutano a sviluppare doti che poi possono essere adoperate nel lavoro, come il coraggio e al determinazione). Infine un ultimo aspetto riguarda la possibilità che abbiamo di contaminarci con altre idee, culture, valori. Accade se adoperiamo le vacanze per viaggiare e visitare posti in cui non siamo mai stati soprattutto se lo facciamo all’estero, dove abbiamo possibilità di incontrare e conoscere situazioni e condizioni diverse dalle nostre. Questo tipo di vacanza sarebbe bello se potesse diventare in qualche modo un’abitudine di lavoro. Sembra quasi un controsenso ma in realtà esistono già realtà aziendali che includono, nei viaggi di lavoro, un tempo libero per i propri dipendenti: non si tratta (solo) di un premio legato alla disponibilità alla trasferta, ma di un’opportunità di crescita che si offre ai propri collaboratori e che si può poi sfruttare nel contesto lavorativo (funziona in maniera quasi diretta per chi svolge mansioni creative).

Noi ci crediamo talmente tanto in questa cosa delle vacanze che abbiamo già cominciato 🙂 Come forse i più attenti lettori avranno notato gli articoli di questo blog hanno subito una variazione nella frequenza: non più 3 appuntamenti (uscite) alla settimana ma una soltanto. Il tempo guadagnato lo utilizziamo per fare vacanze il più possibile produttive. Se volete provate anche voi e diteci come va: buona produttività!

Farsi venire un'idea

ideeCome si fa a farsi venire un’idea? Così, in maniera astratta e non contestualizzata, forse è davvero difficile non solo spiegarlo ma anche riuscirci. In realtà le idee nascono anche un po’ per caso, per un sogno o un desiderio, perché leggiamo una frase che ci appassiona o vediamo qualcosa che ci colpisce.  La famosa lampadina che si accende, insomma, non è sempre pronta a rispondere ai nostri comandi e talvolta, anche se lo vogliamo, le idee non vengono. Per questo motivo negli anni ’40 del secolo scorso, un pubblicitario americano di nome Alex Osborn, aveva inventato un metodo per far nascere le idee: l’ormai conosciuto, diffuso e strausato brainstorming.

Per chi non lo sapesse, il brainstorming (dall’inglese brain/cervello e storm/tempesta) è una tecnica di gruppo che consiste nel dire ciascuno tutto ciò che gli viene in mente rispetto a un argomento o un tema, senza alcun limite e senza la possibilità di essere censurati dagli altri. Quello che si dovrebbe ottenere è il più vasto e differenziato catalogo di idee sul tema dal quale prendere poi le migliori. Questa tecnica però ultimamente è messa in discussione da molti punti di vista. I motivi per cui il brainstorming non funziona sono dettagliati in questo articolo dell’Observer (in inglese; in italiano li trovate sul numero 1105 di Internazionale). Annamaria Testa nel suo blog prova ad approfondire il tema, citando alcuni motivi per cui i presupposti del brainstorming in realtà siano falsi. Il primo presupposto è quello che in gruppo le idee vengono meglio: in realtà “le persone sono più produttive se lavorano da sole. Facendo lavorare contemporaneamente gruppi e singoli individui sul medesimo tema, è facile verificare che i singoli producono più idee, e idee migliori“. Il secondo presupposto dice che la critica è paralizzante ed è per questo che nel brainstorming anulla è vietato. Però “le critiche altrui servono, eccome: aiutano a buttar via rapidamente le idee inefficaci.” Nonostante queste critiche siano delle mine alle fondamenta del brainstorming, questa tecnica continua a essere ampiamente utilizzata.

Ma se ce ne dovessimo liberare come potremmo fare a diventare tutti un po’ più creativi? La ricetta finale, quella sicuramente giusta, non l’abbiamo trovata. Ma leggendo un libretto piuttosto interessante, “Ruba come un artista” di Austin Kleon, abbiamo trovato qualche suggerimento davvero innovativo. Prendendo spunto dal titolo, la tecnica più efficace per essere creativi è davvero quella di “rubare”. Il furto di cui parliamo certamente non è una truffa e non porta danno a nessuno. L’indicazione possiamo spiegarla meglio in altra maniera, facendo un esempio. Pensate a come sono nati e cresciuti gli artisti che oggi conosciamo e riconosciamo come geni (Giotto, Raffaello, Leonardo, ecc.): la maggior parte di loro (la totalità potremmo dire) ha imparato la propria arte seguendo un maestro. Che cosa vuol dire “seguire” un maestro: spesso significava guardare quello che faceva e poi tentare di rifarlo. Questo procedimento, raccontato così, può sembrare molto simile al “Ctrl+C / Ctrl+V” che utilizziamo al computer (copia & incolla per chi è meno pratico della tastiera). In realtà tra il “copia” e l'”incolla” ci stava di mezzo una parola (e un’azione) che faceva la differenza: “rielabora”. Se non fosse così, se non ci fosse stato un processo di rielaborazione sarebbe diventato grande artista chiunque. Il processo di rielaborazione che mettiamo in atto quando prendiamo le mosse da qualcuno che cerchiamo di imitare è qualcosa che assomiglia molto alla creazione di idee.

Copiare quindi non è un peccato o una colpa, a patto di farlo bene. A patto, cioè, che il risultato finale non sia un accozzaglia di elementi posticci rubati qua e là, ma sia una rielaborazione di ciò che abbiamo visto e ci è piaciuto. Austin Kleon nel suo piccolo trattato sulla creatività mette anche un altro suggerimento interessante: circondarsi di talenti. Partecipare a un gruppo in cui non siamo i più bravi, confrontarsi con persone che ne sanno più di noi, ritrovarsi nella stessa stanza con persone che sono più brillanti di noi, frequentare una classe di studenti che hanno migliori risultati dei nostri, avere amici più abili di noi in qualche disciplina non dovrebbe farci sentire sfortunati, depressi o perdenti. In realtà è uno dei modi migliori per imparare facendo, per avere qualcuno da cui prendere le mosse, per trovare il nostro “maestro di bottega”. Perché altrimenti da chi copiamo?

Tre settimane all'IG

alternanza-scuola-lavoroQuesta avventura è nata nel giorno in cui la mia professoressa mi ha comunicato che avrei fatto le mie tre settimane di alternanza scuola-lavoro all’Informagiovani: non conoscevo molto questo servizio, anzi le mie informazioni erano veramente scarse.

Le emozioni prima di iniziare erano numerose e contraddittorie: passavano dal timore per la nuova esperienza alla curiosità di scoprire un mondo a me sconosciuto che mi avrebbe avvicinato al lavoro e messo a contatto con persone nuove con le quali avrei dovuto relazionarmi e collaborare per tre settimane. Il primo di giorno di “lavoro” mi sono presentato all’ingresso e sono stato gentilmente accolto da tutto lo staff che mi ha mostrato il locale dove avrei passato i giorni successivi e illustrato i servizi che l’Informagiovani svolge, liberandomi immediatamente della tensione e innescando ancora di più curiosità e stimoli.

Per cominciare, mi hanno assegnato una scrivania tutta per me dove avrei iniziato il mio primo lavoro. Consisteva nel revisionare e sistemare un raccoglitore che riguardava i finanziamenti per la creazione di nuove imprese; raccogliendo nuove leggi, nuove disposizioni e nuovi bandi. Col passare dei giorni ho iniziato a socializzare con le persone che collaboravano con me e ho trovato un gruppo che mi ha sempre dato la possibilità di lavorare con il tempo e lo spazio dovuto.

Essendo la prima esperienza lavorativa avevo un’idea e delle prospettive che in parte sono state confermate e in parte invece smentite. L’ambiente lavorativo dove mi sono trovato era energico, stimolante e allo stesso tempo accogliente e rassicurante. Questo mi ha permesso di lavorare in tutta tranquillità con gli stimoli giusti. I lavori che ho affrontato non erano basati solo sul consolidamento delle competenze scolastiche ma anche sull’acquisizione di nuove, come il rapporto e l’accoglienza del pubblico. Le prime volte è stato complicato perché avevo bisogno di un sostegno per via delle mie scarse informazioni. Ma con il passare dei giorni però aumentava la mia esperienza e le mie conoscenze che mi permettevano di consigliare gli utenti nel migliore dei modi. Sicuramente la parte del lavoro più gratificante e interessante è stata la creazione di un video su una mostra ospitata all’interno dell’Informagiovani. Questo perché mi ha permesso di imparare l’uso di un editor di foto e video e mi ha regalato la soddisfazione di ricevere i complimenti sia da parte dello staff che dagli organizzatori della mostra.

Pian piano scoprendo e vivendo l’ambiente dell’Informagiovani ho compreso le numerose difficoltà da affrontare ogni giorno per rispettare tutti i servizi disponibili al pubblico nei quali anche io ero coinvolto: spesso cercavo di trovare la soluzione affinché gli utenti potessero avere a disposizione la risposta migliore..

Arrivando alla fine di queste tre settimane posso affermare di essermi integrato perfettamente all’interno del gruppo e consiglio vivamente a qualsiasi ragazzo di provare questa esperienza. Ringrazio tutte le persone che hanno collaborato a rendere questo stage un bagaglio di esperienza che non dimenticherò.

 

(questo articolo è stato scritto da Federico Capobelli, stagista dell’Istituto Savoia-Benincasa)

 

Internet nella nostra vita

internetChi si segue più da vicino il mondo di internet e si appassiona ai dati, forse ha scoperto che sono usciti qualche giorno fa i dati sul mondo nel web per il 2015. Si tratta di una sorta di report che fa vedere come e quanto internet riguarda le nostre vite e di come le nostre vite, forse, sono cambiate con il web. Questo report è redatto dal 1995, per cui è anche abbastanza facile e immediato fare confronti. Che cosa è successo negli ultimi 20 anni? Se qualcuno è stato un utilizzatore “pioniere” del web si ricorda alcune cose che accadevano nella seconda metà degli anni ’90, quando internet è arrivato anche in Italia e ha cominciato a diffondersi. L’accessorio che abbinato al pc permetteva di proiettarci in tutto il mondo era il modem, una scatola rumorosa che collegava il pc alla rete telefonica. Dopo qualche istante di strani suoni, un misto tra un cigolio e un cinguettio, sul video apparivano “cose dell’altro mondo”. Che cosa vedevamo e cercavamo allora e che cosa vediamo e cerchiamo oggi? Vediamo qualche dato che riguarda il 2015 e proviamo a capire come sono cambiate le cose.

Il primo dato interessante è semplice e immediato: la popolazione di utilizzatori del web è passata da circa 35 milioni a quasi 3 miliardi (passando dallo 0,6% al 39%). Un terzo degli utenti di internet risiede in Asia e questo dovrebbe già dare un’idea di dove, probabilmente, sarà il futuro sviluppo della tecnologia in futuro. Nel tempo è cambiato anche il modo con cui utilizziamo il web: se nel 1995 praticamente il pc era l’unico modo con cui potevamo navigare, negli ultimi 20 anni la diffusione di un telefono portatile ha fatto passi da giganti, con una crescita a doppio zero. Nel mondo a oggi ci sono più di cinque miliardi di telefono, di cui il 40% è uno smartphone adatto a navigare su web. Un altro dato interessante su ciò che è avvenuto negli ultimi 20 anni è quello relativo al modo e alle opportunità che ci sono di poter usufruire dei contenuti: negli ultimi 20 anni sono nati il blue-ray e due generazioni di console per videogame, gli smartphone e Youtube, il tablet e lo streaming on demand solo per citare alcuni esempi. In altre parole, in pochi anni, una concentrazione massiccia, un’esplosione di offerta di contenuti che negli anni precedenti mai si era vista. Tutto questo su cosa ha avuto impatto nella nostra vita? Le modifiche maggiori le abbiamo avute come consumatori (chi non guarda almeno il prezzo di un bene su internet?), poi nel mondo business (basta pensare a come e quanto è cambiato il lavoro di chi opera nel turismo); un po’ meno nel settore della saluta e della pubblica amministrazione.

Proviamo a vedere qualcosa che riguarda invece i nostri comportamenti. In questo senso l’accelerazione maggiore l’abbiamo avuta negli ultimi 5/10 anni, con lo sviluppo della tecnologia che ha reso accessibile l’acquisito (a volte anche il solo utilizzo) di un device per navigare (dal pc al telefono). Se nel 2008 un utente “tipico” del web passava in media poco meno di 3 ore su web (di cui l’80% grazie ad un pc), nel 2015 le ore sono diventate quasi 6 (5,6 per la precisione) e oltre la metà avvengono attraverso un dispositivo mobile. C’è anche un’altra cosa interessante, che ha perlopiù delle implicazioni per quello che riguarda la pubblicità ma che può essere interessante anche per il nostro modo di comportarci. Negli ultimi anni (parliamo della forbice che va dal 2010 al 2015) è successo che stiamo cambiando il modo di fruire di immagini e video. Se 5 anni fa la quasi totalità dei video la guardavamo attraverso uno schermo grande e a sviluppo orizzontale (un TV o il monitor di un PC), nel tempo è salita la percentuale di ore spese a guardare video in senso verticale (cioè attraverso lo schermo di un telefono): nel 2010 accadeva al 5% per cento dei naviganti, nel 2015 al 30%.

Molte altre cose sono cambiate negli ultimi anni. Per esempio il modo con cui paghiamo o trasferiamo denaro in genere attraverso strumenti che ci permettono transazioni sicure e immediate, ha modificato il nostro comportamento di acquisto. Oggi, se vediamo una cosa che ci piace dopo una ricerca fatta su Google (o che ci viene segnalata da un amico) possiamo decidere di acquistarla con pochi click immediatamente. Possiamo certificare con la nostra firma i documenti, digitalizzando immediatamente una ricevuta (se avete ricevuto un pacco da un corriere questa esperienza l’avete già fatta). Possiamo inviare messaggi complessi, composti di video, foto e audio ai nostri amici, trasferendo in maniera più completa ed esaustiva quello che vogliamo dire ai nostri amici. Come pensate che tutto questo possa aver cambiato la nostra vita? Siamo cambiati come consumatori, cittadini, amici? Probabilmente sì, ma quello che il report suggerisce è anche che il cambiamento ancora non è completo e che molte novità devono ancora arrivare anche se noi al momento lo crediamo poco possibile o probabile. Come 20 anni fa.

I dati citati in questo articolo fanno parte di un report apparso negli USA, paese a cui si riferiscono. Il report potete trovarlo qui.

 

 

 

Quante ne sai?

quante ne saiTorniamo spesso a parlare di competenze e conoscenze, fondamento di una solida vita professionale (e se volete anche personale). Quante cose conosciamo? E quante ne conosciamo abbastanza bene da poter essere considerati dei “maestri” in quella materia? L’importanza di questo aspetto è fondamentale: soprattutto in ambito lavorativo (e non solo se faremo i maestri o i professori in futuro). Per definire meglio quello di cui vogliamo parlare vi raccontiamo una storiella.

Narra una leggenda molto popolare tra i fisici che Max Planck, dopo aver ricevuto il premio Nobel nel 1918 per la scoperta della quantizzazione dell’energia, si imbarcò in un tour attraverso tutta la Germania per tenere delle conferenze sulla meccanica quantistica, la nuova e rivoluzionaria disciplina che era nata dalle sue scoperte. Parlare di «conferenze» è improprio: il professor Planck teneva infatti sempre la stessa, sempre uguale, persino nei colpi di tosse. Giorno dopo giorno, l’autista che lo accompagnava arrivò a impararla a memoria, finendo anche per notare che il professor Planck cominciava ad annoiarsi un pochetto. In occasione di un viaggio verso Monaco di Baviera, perciò, chiese al suo assistito: “Certo, professore, deve essere veramente noioso ripetere sempre le stesse cose. Tanto per cambiare, a Monaco, non potrei parlare al suo posto?”. Planck, che era un buontempone, accettò volentieri e i due decisero di scambiarsi i ruoli; l’autista avrebbe tenuto la conferenza, mentre il Nobel si sarebbe accomodato in platea con il berretto da chauffeur e l’aria austera. Purtroppo, dopo la conferenza, accadde una cosa mai successa prima. Un tizio del pubblico, nella fattispecie un professore di fisica, si alzò in piedi e fece una domanda. Senza perdere un grammo del suo aplomb, l’autista replicò: “Mi sorprende davvero che l’abitante di una città così avanzata possa fare una domanda così semplice. Guardi, le può rispondere direttamente il mio autista”.

Questa storiella simpatica, di cui dobbiamo la conoscenza a Marco Malvaldi e al suo ultimo libro (Le regole del gioco), oltre a raccontare della prontezza di riflessi e dell’arguzia che ogni tanto possono salvarci da situazioni imbarazzanti e imprevisti, ci fa capire come e quanto sia importante conoscere abbastanza approfonditamente un argomento per poterlo gestire e non solo raccontare. La capacità di parlare, anche in pubblico, di un tema non è necessariamente sintomo di consocenza: gli psicologi chiamano questo tipo di sapere “conoscenza dello chauffeur” (potremmo dire “conoscenza da bar”). Se c’è qualcuno che ha una buona capacità di ascolto e di intuire quali sono i passi fondamentali di un discorso unite a buone doti comunicative, ecco che potremmo credere che quel qualcuno sia un esperto della materia. Fino ad un certo punto: il punto è quando qualcuno gli farà una domanda di cui conosce già la risposta. Potete chiamarla verifica o scherzo bastardo, fatto sta che quella domanda farà cadere tutte le competenze presunte come un castello di carta.

Chi adotta questo metodo per fingersi esperto di qualcosa in realtà è al massimo un bravo attore, capace di interpretare un parte. A pensarci bene in effetti, la similitudine è azzeccata: un attore studia una parte, ne assorbe per quel che può (e per il tempo che serve) le caratteristiche e poi la interpreta al meglio. Ma se un attore che interpreta la parte di un uomo di affari dovesse poi mettersi alla guida, veramente, di un’impresa sarebbero guai per molti, dai clienti, ai dipendenti, ai creditori. Questo ragionamento dovremmo essere bravi a farlo anche con noi stessi, evitando di raccontarci e raccontare storie e bugie sulle nostre competenze. Non sempre è facile perché il confine tra quello che conosciamo e quello che non conosciamo può essere labile e confuso. Le nostre conoscenze non dipendono soltanto da quello che abbiamo studiato sui libri, ma anche dalle esperienze e dalle percezioni che abbiamo assimilato nel corso degli anni. Per fare un esempio pensate alle ricette: sicuramente tra tutti quelli che sanno preparare un tiramisù ci saranno almeno 3 o 4 ricette diverse. Ma se fate un sondaggio ciascuno dirà che la propria ricetta è quella giusta, corretta, originale. Qualcuno però sarà in errore (supposto che la ricetta del tiramisù sia unica), anche se in buona fede. Nel mondo del lavoro, diversamente da quello della cucina (solo quando non è quella professionale), le conoscenze che dobbiamo avere devono essere precise, dettagliate, spesso profonde. Un esercizio che possiamo fare è quello di imparare a determinare  limitare l’ambito delle nostre competenze: che cosa sappiamo veramente? Su che cosa potremmo tenere una lezione senza paura di dover rispondere a una domanda?

Mettici la faccia e fatti i selfie tuoi

selfie tuoiLa scorsa settimana abbiamo parlato in questo blog di come e quanto sia importante sapersi presentare, sia di persona che con una forma scritta che oggi si traduce in molti modi, dalla semplice mail con cv allegato alla stesura di un blog o un sito personale. Le modalità con cui ci “rappresentiamo” sono molteplici e per come funzionano oggi la comunicazione e il sistema di relazioni tra le persone c’è un fattore cruciale. la foto!

Oggi, probabilmente, nessuno di noi si è salvato dalla selfiemania: la moda di fare un autoscatto con il proprio telefono, tenendolo in mano alla massima distanza consentita dalle nostre braccia. Il risultato finale non sempre è eclatante: a volte si vede un pezzo di un braccio, la foto è sfocata, le smorfie son quelle di un cartone animato. Anche quando il selfie è azzeccato la domanda che vi e ci facciamo è: sarebbe quella una foto professionale? La potremmo utilizzare per presentarci in un contesto lavorativo?

La risposta a questa domanda hanno provato a darla anche gli esperti di Linkedin, il social network business, dedicato al mondo del lavoro. Con la realizzazione di una apposita guida per i selfie hanno voluto trasformare, con i giusti accorgimenti, una pratica che si vuole legata solo a svago e divertimento in un modo rapido per aggiornare il proprio avatar lavorativo. Certamente il risultato finale non può essere il medesimo di una foto professionale, ma certamente con qualche consiglio che riportiamo qui di seguito il risultato finale sarà sicuramente migliore di un selfie qualsiasi.

Primo passo: scegliete uno sfondo. Probabilmente non ci facciamo caso ma in una fotografia quello che colpisce la nostra attenzione non è solo la faccia che eventualmente sta in primo piano; per dare un “senso” a tutta la foto i nostri occhi e il nostro cervello catturano particolari importanti. Sono particolari che aiutano poi ad elaborare sia il ricordo che l’associazione di idee connessi alla foto. Per questo è importante per esempio scegliere uno sfondo neutro (bianco per esempio) oppure un qualcosa che sia significativo (lo sfondo in questo senso potrebbe riprendere il luogo in cui lavoriamo oppure strumenti che fanno parte della nostra professione). Secondo passo: la giusta luce. Tutti sappiamo (forse) che una foto controsole è quasi vietata per un risultato buono (il viso sarebbe completamente scuro, quasi invisbile): bisogna fare attenzione anche ad altre fonti di luce e cercare di avere il viso sempre in una buona condizione di illuminazione (per esempio mai spalle ad una finestra, semmai il contrario); attenzione anche al flash, distorce la luminosità del vostro viso per cui la cosa migliore è… aspettare che sia giorno 😉

Terzo passo: il “makeup”. Pensate prima di scattare a come vorresti che risultasse la tua immagine finale, scegli la postura, l’abito e l’espressione che vorresti ottenere. Potete fare alcune prove e tentare di vedere come l’espressione che pensate di aver tenuto, il tipo di risultato e di effetto finale restituisce. Potrebbe accadere che un’espressione che vi sembrava affascinante sia ridicola e quella che reputavate poco professionale sia invece quella più adatta. La nostra fotogenia dipende anche da questi particolari. A ogni modo comunque volto rilassato ed espressione naturale, tendenzialmente sorridente. Pensate a quando ti sei sentito fiero di te o alla voce del capo che ti offre la promozione che hai sempre sognato: vedrete che otterrete lo scatto giusto. Quarto passo: il setting. Posizionate la macchina fotografica (o, meglio, il vostro smartphone) ad una distanza adeguata (le inquadrature dall’alto verso il basso tendono a dare risalto agli occhi e assottigliano ovale del viso e collo; viceversa lo scatto opposto può veicolare l’idea di imponenza ma rischia derive caricaturali per chi ha un naso o un mento pronunciati). Per evitare che oltre al viso la vostra foto comprenda anche una aprte del braccio che regge il telefono studiate un modo di appoggiarlo da qualche parte, non troppo distante per evitare di utilizzare troppo zoom (quelli digitali non offrono nulla di più di una inquadratura normale; l’immagine potete tagliarla successivamente): per esempio se fate la foto seduti ad un tavolo il telefono potete appoggiarlo ad una pila di libri messa a 80/100 centimetri da voi.

Il bello del selfie è che potete scattare e riscattare tutte le volte che volete: se non riuscite a trovare la foto migliore condividete gli scatti con un gruppo ristretto di amici (se volete potete farlo anche con noi, garantiamo massima riservatezza) e fatevi dare qualche consiglio.

Gli errori (di grammatica) da non fare in una presentazione

grammaticaRimaniamo sul tema del post precedente: presentarsi agli altri nel modo migliore. La scorsa volta abbiamo visto quali comportamenti adottare e quali evitare nel momento in cui incontriamo per la prima volta qualcuno. Abbiamo visto che ci sono modi di fare e scelte più o meno consone rispetto al contesto in cui siamo, soprattutto se il contesto è quello professionale e davanti a noi abbiamo una persona avrà una qualche influenza sul nostro futuro. I latini dicevano “verba volant, scripta manent” volendo intendere che la parola scritta ha una forza e una permanenza maggiore rispetto a quelle soltanto dette. Se è vero infatti che le parole dette hanno una potenza immediata nel momento in cui le esprimiamo (forti anche del fatto che sono collegate alla nostra immagine nel suo complesso), quelle scritte spesso rimangono fisse lì, sotto gli occhi del destinatario, per un tempo molto più lungo (a volte per sempre). Questo è ancor più vero oggi che scriviamo su un supporto che non è deteriorabile come la carta: quel che mettiamo in una mail, in un post di Facebook o in un blog posso rimanere per sempre.

Ecco perché diventa fondamentale saper, oltre che parlare, anche scrivere bene. Non tutti siamo scrittori, questo è naturale. Ma è anche vero che una scrittura quantomeno corretta, chiara e incisiva non solo aiuta a far capire meglio quello che vogliamo intendere ma serve anche a persuadere della bontà dei nostri contenuti. Sappiamo tutti scrivere? Teoricamente sì, essendo questa un’abilità che acquisiamo nei primi anni della scuola dell’obbligo. Sappiamo tutti scrivere bene e in maniera convincente? Qui la percentuale si abbassa notevolmente considerato che ci sono ancora errori grammaticali frequenti nella scrittura della maggior parte degli italiani. Vediamo quali sono in modo che, si spera, faremo più attenzione quando toccherà noi.

Gli errori grammaticali più frequenti li segnala in questo post il blog Libreriamo. Al primo posto c’è l’uso (s)corretto dell’apostrofo: “Quando si mette? Semplice, con tutte le parole femminili, quindi: un’amica sì, un amico no. E quindi apostrofo? Si tratta di elisione: non si può dire lo apostrofo, diventa quindi l’apostrofo. Infine c’è anche il troncamento: un po’ vuole l’apostrofo, perché si tratta del troncamento della parola ‘poco’“.  “Qual’è” l’altro errore commesso dagli italiani? Sta proprio all’inizio della frase precedente, perché “qual è” si scrive senza apostrofo. Non può mancare il congiuntivo che sembra non rientrare più tra le abitudini linguistiche degli italiani. Il congiuntivo ha valore esortativo (al posto dell’imperativo, vada via di qua!), concessivo (segnalando un’adesione, anche forzata, a qualcosa; venga pure a spiegarmi le sue ragioni), dubitativo (es. che abbia deciso di non venire?), ottativo (per esprimere un augurio, una speranza, ma anche un timore, es. fosse vero!), esclamativo (es. sapessi quanto mi costa ammetterlo!). Purtroppo nella mente di molte persone è rimasto più chiaro il “venghi Fantozzi, venghi” del personaggio di Paolo Villaggio (che lo utilizzava come ulteriore accento per raccontare la grottesca realtà di certi ambienti). Animati da entusiasmo possono essere solo le persone di sesso femminile? No, ma forse è quello che credono coloro i quali scrivono “entusiasto” anziché entusiasta: questo aggettivo rimane con la “a” finale anche al maschile. Un errore meno grave ma che racconta sicuramente di una cifra stilistica meno precisa è quello che ci fa mettere una “d” nelle congiunzioni che precedono una parola che inizia con una vocale (come, per esempio, “ad entrare” che invece andrebbe scritto “a entrare”). Quella “d” la dobbiamo mettere solo quando la vocale è la stessa (e quindi sarebbe giusto “ed entrare”). Quest’ultimo, ahinoi, potreste trovarlo anche in questo blog.

Ora che avete scoperto, forse, qualche incidente linguistico nel quale siete incappati potete andare a vedere se per caso lo avete riportato in qualche vostra lettera di presentazione o nella mail che stavate per spedire con il vostro cv. Correggerli non sarà forse determinante per il successo del vostro curriculum ma concorrerà sicuramente a farvi fare una figura migliore.

Quando non hai una seconda opportunità

seconda opportunitàDi solito si dice che abbiamo sempre una seconda occasione: giusto, non sembra nemmeno a noi utile affermare il contrario. Di fatto è anche il momento in cui impariamo qualcosa, perché la “seconda volta” è l’occasione in cui abbiamo avuto già un’esperienza e siamo in grado di poterla mettere a frutto, migliorando quello che abbiamo fatto bene ed evitando gli errori già commessi. Nonostante questo nella vita ci sono casi in cui questa seconda possibilità non ce l’abbiamo:

Una di queste occasioni è quando incontriamo una persona nuova e facciamo la cosiddetta “prima impressione”: proprio perché è la prima, non abbiamo una seconda volta in cui lasceremo il ricordo della prima volta. Sembra un gioco di parole ma se provate a rifletterci un attimo è proprio così. Pensateci un attimo: quando conoscete una ragazza o un ragazzo che vi piace che tensione avete il momento in cui vi salutate per la prima volta? Mani sudate, battito cardiaco accelerato, difficoltà a trovare le parole giuste per presentarsi: in generale un senso di spaesamento e di mancanza di equilibrio che ci spiazza. Tutto questo accade anche perché sappiamo che se “toppiamo” quel ragazzo o quella ragazza non saranno poi così tanto disposti e disponibili a costruire una relazione con noi. Stiamo gettando il seme per costruire una nuova relazione e questa cosa va fatta con cura già dalle prime mosse. In questo blog non trattiamo però di questioni di cuore e quello fatto era solo un esempio per far capire la situazione. C’è una situazione simile nel mondo del lavoro: si tratta del momento in cui facciamo un colloquio di lavoro.

Chiaramente con la persona che abbiamo davanti ad un colloquio di lavoro non stiamo costruendo lo stesso tipo di relazione che vorremmo avere con la ragazzo o il ragazzo che ci piace. Ci sono elementi in comune però. Per esempio la fiducia e l’affidabilità in un rapporto di lavoro sono caratteristiche simili a quelli di una relazione sentimentale. Ma quello che più li accomuna è il fatto che in entrambi i casi siamo in una situazione in cui dobbiamo fare una buona prima impressione. Noi abbiamo qualche consiglio per il caso che riguarda il vostro possibile futuro lavoro: qui di seguito vi elenchiamo alcuni consigli di cui tener conto durante il vostro primo colloquio.

Attenti alle parole. È molto importante essere padroni del proprio linguaggio, parlare fluentemente e senza intoppi, e rigorosamente in italiano. Spesso dipende anche da chi avete di fronte, magari è lo stesso intervistatore (imprenditore o selezionatore) che esordisce con espressioni e frasi dialettali, per cui sta a voi adattare il vostro linguaggio a seconda dell’occasione (senza esagerare: considerate che parlare in maniera corretta l’italiano non è mai un peccato o un difetto). Quello che però deve passare è la vostra abilità nel dialogo e la personalità che avete; è un concetto che passa tramite una conversazione nella quale sono importanti le parole, le frasi, le espressioni ma anche il tempismo con cui le utilizzate. Insomma, cercate di far passare al potenziale datore di lavoro che di fronte a se ha una persona con carattere e personalità, non un semplice burattino da manipolare a piacimento. La bella notizia è che si può imparare a farlo, la brutta è che se non siete ancora capaci dovete iniziare a studiare.

Non pensare sempre a quello. Spesso l’unico obiettivo in testa della persona che si accinge ad affrontare un colloquio di lavoro, è il focus completamente sul suo obiettivo, ottenere il posto di lavoro. Ovviamente è un ottimo modo per orientare la mente e azioni per raggiungere quell’obiettivo. Accade però troppo frequentemente che l’attaccamento all’obiettivo è più dannoso che vincente. L’atteggiamento orientato al volere a tutti i costi quel lavoro, fa passare una sorta di attaccamento all’opportunità e, soprattutto, induce a commettere errori di valutazione. Dovete entrare nella logica che anche un rifiuto alla fine del colloquio sarà per voi acquisizione di esperienze e conoscenze, per poter essere più competitivi e preparati alla prossima occasione. Inoltre un giudizio più ponderato vi aiuterà a capire con maggior facilità se quella che vi stanno proponendo è un’occasione o una sòla 🙂

Come un agente segreto. UN passo fondamentale è consocere il “nemico” prima di affrontarlo. Scoprite quanto grande è l’azienda, da quanto esiste, di che cosa si occupa nel dettaglio, insomma; cercate di raccogliere il più grande numero di informazioni possibili per essere pronti ad ogni evenienza.Spesso spulciando il sito web dell’azienda avete già fatto la metà del lavoro, poi continuate su Google e cercate attentamente tutto quello che vi può servire per conoscere l’azienda, il capo e i collaboratori. L’obiettivo è entrare in sintonia con il potenziale datore di lavoro e fargli capire che già conoscete l’azienda: questo sarà un ottimo punto a vostro favore e passerete per quelli in gamba che si son presi la briga di ricercare qualche informazione su di loro (lo apprezzeranno).

Muoversi bene. Adottate una camminata decisa e ordinata, petto in fuori, testa dritta e un briciolo di coraggio. Dvete trasmettere di essere una persona determinata, qualsiasi sia l’esito del colloquio di lavoro. Non fate l’errore madornale di pensare nella tua testa di inciampare, di commettere errori o di fare qualcosa che non vorreste fare, potreste attirare proprio quel comportamento e manifestarlo di fronte al vostro esaminatore. Siate voi stessi, con qualche trucco per abbellirvi. A proposito: cravatte e tacchi a spillo solo se li avete già indossati almeno due tre volte prima (insomma, che non sembriate impacciati)

Vestirsi meglio. Lasciate perdere prese di posizione, nella nostra società l’immagine conta eccome, non ci sono scuse, e voi dovete essere all’altezza del colloquio. Se andate a un colloquio di lavoro in una importante società è utile andarci vestiti secondo un certo criterio, ovvero dovete essere socialmente accettati. Dovete essere vestiti come se andaste a conoscere i genitori del/lla vostro/a ragazzo/a, dovete essere presentabili nella forma e nella misura più neutra possibile. Niente cose stravaganti, attenetevi al classico e alle regole non scritte della decenza e di buona norma.

E adesso: in bocca al lupo!

Imparare ad imparare

Boy reading book

Boy reading book

Che siate ancora studenti oppure già immersi nel mondo del lavoro, ci sembra evidente che il detto “nella vita non si finisce mai di imparare” sia quantomai attuale. Oggi non si può smettere di imparare cose nuove, nella vita e nella professione. Per due motivi fondamentali. Il primo è che l’evoluzione che stiamo vivendo in questa epoca ci presenta ogni giorno una novità: nel tempo abbiamo imparato a organizzare viaggi da soli con internet, a comunicare senza telefonare con un telefono (paradossale), a monitorare digitalmente quello che facciamo durante la giornata. Il secondo motivo per non smettere mai di imparare è che il mondo in cui viviamo, che lo vogliamo o meno, è davvero molto competitivo. Significa che se non siamo aggiornati, sempre, rischiamo di rimanere esclusi dalle opportunità che si presentano.

La notizia buona è che esiste un metodo per riuscire ad imparare: alcuni scienziati americani hanno scoperto 10 segreti per imparare. Alcuni faranno particolarmente piacere agli studenti, altri un po’ meno. Vediamo quali sono. Il primo è esistono i tempi giusti per imparare: non tutti i momenti della giornata sono uguali per il nostro sistema cognitivo. Per esempio le persone più adulte (se non addirittura anziane) riescono ad apprendere meglio la mattina; così come gli studi hanno evidenziato che è meglio studiare le lingue il pomeriggio e che andare a dormire subito dopo aver studiato qualcosa aiuta a consolidare l’apprendimento. Studiate e interrogatevi: il nostro cervello quando viene messo alla prova restituisce il meglio di sè (ragazzi, è per questo che a scuola ci sono le interrogazioni!). La cosa funziona anche se ci interroghiamo da soli: per cui una buona tecnica è quella di leggere qualcosa e poi chiedersi che cosa abbiamo letto, sforzandoci di ricordare temi, collegamenti, idee appena apprese. Distrarsi non è un peccato, a patto che la distrazione non coinvolga le stese funzioni cognitive che state utilizzando per imparare. Per esempio gli odori associati ad una lettura renderanno quella lettura indimenticabile ogni qualvolta percepirete lo stesso odore. Chiaramente la cosa non funziona altrettanto bene, anzi è deleteria, se a distrarvi sono WhatsApp, sms o post su Facebook. Esiste anche l’apprendimento passivo: possiamo imparare qualcosa anche mentre stiamo facendo dell’altro; se guardiamo un film in lingua riusciamo a seguire la trama e i suoi protagonisti ma al contempo a immagazzinare vocaboli che non conosciamo (e che ci rimarranno in mente!). Il team facilita l’apprendimento, soprattutto in una fase successiva allo studio da soli. Il gruppo di studio, per essere efficace, deve svolgere due attività: discussione e risoluzione dei problemi.

Bella notizia per i più giovani: i videogiochi sono un toccasana per l’apprendimento! Pare infatti che l’abilità che si sviluppa nella pratica di un videogioco, soprattutto se di azione, accelera la capacità del cervello di formare precisi modelli di coordinazione occhio-mano che aiutano l’efficienza generale della nostra mente nell’apprendere. Spesso ne sentiamo il bisogno, ma a questo punto possiamo dire che un periodo di relax è un dovere se vogliamo che le cose che impariamo possano sedimentarsi nella nostra memoria. Una pausa dedicata al rilassamento può consistere in un pisolino oppure in una partita dello sport che preferiamo: l’importante è che il corpo, oltre la mente, abbia la possibilità di rigenerarsi in qualche modo. Vi siete mai chiesti perché state imparando qualcosa? Bene, da oggi la risposta, vera o falsa che sia, può essere questa: “devo insegnare”. Fingere di essere degli insegnanti che devono riproporre i concetti che hanno studiato è un utile esercizio che migliora le nostre capacità cognitive (badate bene che se andate ancora a scuola la finzione deve necessariamente finire all’ingresso 😉 ). Scegliete bene i tempi: se oggi studio qualcosa non è detto che ripeterlo o ripassarlo immediatamente. Il nostro cervello è programmato per ricordare le cose in tempi che non sono casuali: c’è un nesso temporale preciso tra il momento in cui impariamo qualcosa e quello in cui dovremo utilizzarlo. Se per esempio volete ricordare qualcosa tra un anno, dovete ripassarlo un mese dopo averlo imparato e poi una volta al mese fino alla fine dell’anno. La nostra memoria e la nostra capacità di apprendere si comportano essenzialmente come dei muscoli: più li esercitiamo e più saranno reattivi nella risposta. Per questo è importante non abbandonare lo studio anche quando scarseggiano i risultati: in questo senso sapersi perdonare un fallimento (un corso non andato bene, un brutto voto ad una interrogazione, un esame saltato)a patto che non sia un’abitudine, ci libera da pensieri negativi e rafforza la nostre prestazioni future.

Ora che sapete come fare non vi rimane che imparare! 😉

 

 

Your Future Festival 2015

logo-yff2015Anche quest’anno è ai blocchi di partenza Your Future Festival, il festival dell’Uuniversità Politecnica delle Marche giunto alla sue seconda edizione. L’idea del Festival è quella di valorizzare le città nelle quali l’Università Politecnica delle Marche opera e favorire le connessioni tra Facoltà, studenti, ricercatori, territorio e sistemi sociali e economici.

Inseguendo questo intento quest’anno il tema centrale sono le  persone e le loro capacità: sono le persone che fanno la città, l’università. Il concept del festival recita “Il valore potenziale si esprime quando ancora il valore effettivo non si è concretizzato. Nella Persona il valore potenziale rimane manifesto quasi tutto l’arco della vita dato che i margini di crescita ed evoluzione si sviluppano continuamente. La chiave dell’evoluzione non sta nella trasformazione dal potenziale all’effettivo ma nella continua creazione di altro potenziale. Compito dell’Università è trasformare il valore potenziale della Persona, nel suo momento di massima scala, in valore di trasformazione, di conoscenza, di sviluppo e innovazione attraverso la ricerca e l’interazione tra studenti, ricercatori e sistemi sociali, economici e produttivi.” Come a dire che l’università, in una città, dovrebbe essere una sorta di motore della conoscenza per tutti e non solo per gli studenti.

Ecco perché questa settimana sarà ricca di workshop, discussioni, relazioni e momenti di intrattenimento. Si parte ufficialmente oggi pomeriggio alle 16, in Aula Magna di Ateneo “Guido Bossi” presso il  Polo Monte Dago: Il Rettore Sauro Longhi, alla presenza del Sindaco della città di Ancona Valeria Mancinelli, presenterà i vari eventi che animeranno YFF2015. Dall’incontro di studenti, ricercatori, imprese e attori del sistema economico il Festival offrirà una riflessione sulle potenzialità del Capitale Umano per il progresso della società. A seguire, in serata, con inizio alle 21.15 “Danilo Rea meets FORM“, un’accattivante rivisitazione in chiave jazz di musiche di autori classici come Čajkovskij, Ravel, Puccini, Mozart. Ad accompagnarlo in questa eccitante avventura musicale l’Orchestra Filarmonica Marchigiana diretta da Stefano Fonzi, arrangiatore e orchestratore dei brani in programma. La settimana prosegue con una serie di appuntamenti che toccano la vita universitaria e quella della città. Noi ve ne segnaliamo alcuni.

Per esempio, domani (martedì 19 maggio) alle 11, sarà la volta di “L’ultimo villaggio”: il format proposto, tra immagini, musiche, testi e riflessioni, oscillando tra teatro e giornalismo, con la conduzione del giornalista Luca Pagliari, ripercorre la vita di Agnese Sartori, antropologa e docente di Arte Scenica presso il Conservatorio “Giovan Battista Marini” di Bologna. Agnese Sartori entrò in contatto con uno degli ultimi villaggi Maya totalmente preservati, dove cultura, spiritualità e stile di vita erano rimasti immutati nei secoli. Negli anni seguenti Agnese ha visto scomparire il villaggio di Nahà ed assieme ad esso la giungla incontaminata, i giaguari, la purezza delle acque e della laguna e soprattutto quella magica spiritualità che  consentiva a questo popolo di affrontare la vita con il sorriso ed una serenità che noi abbiamo da tempo dimenticato. Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle 17, “Green Jobs: quando l’ecologia diventa mestiere” un incontro in collaborazione con la business community FiordiRisorse per presentare l’ambiente come occasione di scelta professionale. Giovedì sarà la volta del Career Day e dello spettacolo di Dario Vergassola la sera che presenterà lo spettacolo “La ballata delle acciughe”.

Venerdì entriamo in scena anche noi: all’interno di questo festival c’è anche una nostra proposta (come forse già saprete). Venerdì mattino, alle 10.30, qui all’Informagiovani parleremo di “Professionisti dell’editoria digitale“: Quante competenze e quali professionalità ruotano attorno ad un e-book? Lo scopriremo in una tavola rotonda moderata da Antonio Tombolini (Simplicissimus Book Farm) e con protagonisti Luca Conti (autore, blogger, giornalista; presenza da confermare), Giovanni Lucarelli (docente universitario, autore, esperto di creatività), Massimo Pigliapoco (titolare Tonidigrigio, agenzia di comunicazione),Giovanna Russo (Content Manager e Copywriter), Michele Pinto (autore ed editore digitale). La sera dsarà invece la volta di Ascanio Celestini con il suo spettacolo “RAcconti d’estate” con il quale rivede i meccanismi classici delle storielle comiche facendo sì che qualcosa si inceppi e che i ruoli vengano invertiti.  Celestini si cimenta a fronte alta con le verità scomode del mondo, e lo fa con la forza gentile di chi ha, ancora, molto da dire.

Come vedete ce n’è per tutti i gusti. Il programma completo lo potete trovare qui per vederlo in digitale oppure qui se volete stamparlo. Vi aspettiamo!