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"La mente nasce vuota e si riempie durante la vita" (parola di Locke… e di Sara)

libertàOggi pubblichiamo, con grande piacere, un articolo che ha scritto per noi Sara, una studentessa del Liceo Rinaldini di Ancona che ha avuto la pessima idea 🙂 di fare una delle sue prime esperienze di contatto con il mondo del lavoro qui da noi. E da quello che ha scritto pare che così male non sia andata. Buona lettura (e soprattutto grazie a Sara).

Ciao a tutti, sono una stagiaire che ha frequentato per una settimana l’Informagiovani. E voglio raccontarvi la mia esperienza di questi giorni.

Inizio con il dire che nel momento in cui stavo per entrare nell’edificio avevo il cuore che mi batteva a mille non sapevo a cosa sarei andata incontro, non avevo idea di che cosa dovevo fare, come sarebbe stato, mi sentivo la caramella ammuffita in un pacchetto di cioccolatini al cioccolato, diversa da tutti e che nessuno avrebbe voluto.  Poi, presi coraggio afferrai la maniglia e aprii la porta. Quella paura di essere diversa, di non piacere e di non capire si smussò, fino a scomparire del tutto. Mi hanno accolto facendomi sentire subito a mio agio, mi hanno offerto una scrivania, un computer e una sedia con le rotelle, proprio come loro.  Una volta accomodata, i colleghi hanno organizzato un colloquio in cui si sono presentati domandandomi cosa mi sarebbe piaciuto fare, per poi decidere tutti insieme la mia postazione e il mio lavoro per questo breve periodo, garantendomi tutta la loro disponibilità.

In questi cinque giorni non ho potuto imparare molto, perché è stato un percorso troppo breve. Mi sarebbe piaciuto comunicare con i utenti, ma li avrei potuti informare solo dell’orario di apertura e di chiusura della struttura, perciò mi sono limitata a controllare i quaderni per l’archiviazione e l’aggiornamento dei fascicoli che vi erano all’interno.  Ho svolto questo lavoro con grande piacere e cura in quanto sapevo che le informazioni che avrei trovato potevano servire al prossimo e il mio sogno è stato sempre quello di poter aiutare le persone perché mi rende felice. Ritengo di essere stata molto fortunata e consiglierei a chiunque di trascorrere un periodi di formazione simile al mio, perché per me non è stato solamente un luogo di lavoro, ma anche un posto dove ho trovato persone fantastiche che non si sono solamente limitate a essere mie colleghe, ma che si sono presentate come amiche pronte ad aiutarmi in qualsiasi evenienza.

Prima di arrivare come stagista all’Informagiovani, avevo una concezione del posto di lavoro positiva perché comunque ti dà la possibilità di portare a casa lo stipendio per mantenere la famiglia, ma allo stesso tempo negativa perché immaginavo che tutti coloro che operano in una determinata struttura siano in una continua competizione fra di loro, come succede molto spesso a scuola, perciò in questo caso è preferibile continuare a fare il proprio dovere senza parlarne con gli altri. Invece, frequentando l’Informagiovani ho corretto la mia deduzione e ora penso che non sempre sia così, perché ancora esistono persone che hanno voglia di lavorare aiutandosi reciprocamente senza che ci sia in palio niente.

Devo dire che prima di affrontare questo stage la mia mente era una tabula rasa che come dice il filosofo Locke si colma con l’esperienza. Quest’ultima farà sempre parte non solo nella mia memoria, ma anche nel mio cuore, perché mi ha fatto crescere e avere una visione del mondo lavorativo completamente diverso.

(questo articolo è stato scritto da Sara Serrani, in stage all’Informagiovani durante questa settimana)

Trovare lavoro: cosa bisogna saper fare

OLYMPUS DIGITAL CAMERATrovare lavoro e, soprattutto, trovarlo adatto alle nostre competenze e in sintonia con le nostre aspirazioni non è una cosa facile. Sembrerebbe anzi che in Italia, al momento, sia una cosa impossibile. Spesso ragazzi e ragazze vengono nel nostro servizio e chiedono “un lavoro qualsiasi”: ci spiace dover dire che questo lavoro, di fatto, non esiste. Sembra un paradosso perché se qualcuno immagina che un lavoro qualsiasi significhi essere disposti a fare tutto, pare impossibile che nessuno offra niente. Come a dire: “possibile che non ci sia un compito od una mansione, anche elementare e semplice, che posso svolgere”? Ed il problema è proprio questo. Data la competitività in tutti i settori ed a tutti i livelli, presentarsi disposti a fare tutto si traduce in un molto più povero “non so fare niente”. Oggi quel che conta è poter dare l’idea di sapere fare bene qualcosa: avere un’idea precisa delle proprie competenze e delle proprie abilità. E venderle al meglio.

Cosa bisogna saper fare allora? La risposta è duplice. La prima riguarda le nostre competenze nella ricerca. Quando cerchiamo lavoro dobbiamo sapere ricercare le informazioni giuste e riuscire ad utilizzarle al meglio (quanti di noi si sono informati, ad esempio, sul nome del referente del personale o sui progetti in corso dell’azienda alla quale stiamo per spedire il cv?). L’altra cosa che dobbiamo saper fare è “comunicare”! Comunicare significa sapersi presentare con una lettera di presentazione ed un cv fatti a regola d’arte, conoscere le giuste parole da utilizzare ad un primo incontro, sapere le cose da dire e quelle da non dire ad un colloquio, saper controllare il proprio linguaggio (anche quello non verbale) ed essere affascinanti e interessanti nelle cose che raccontiamo. Infine tra le cose che bisogna saper fare quando si cerca lavoro c’è “riuscire a definire un obiettivo” ed avere la costanza di perseguirlo: essere focalizzati su di un punto specifico (il tipo di lavoro, la mansione, il settore, l’azienda che abbiamo nei nostri desideri) può sembrare una vana speranza ma in realtà risulta, alla fine, l’unica strada per avere qualche possibilità. La generalizzazione (un lavoro qualsiasi) è sempre più spesso perdente.

Abbiamo scritto che la risposta è duplice perché poi ci sono le cose che bisogna saper fare per essere scelti. Ovvero quello che le aziende cercano, in termini di competenze, tra i lavoratori che vogliono assumere. In questo senso il blog “Italians in fuga” ha pubblicato qualche tempo una analisi di Linkedin, il social media dedicato al business, nella quale compaiono le competenze professionali più richieste nel mercato del lavoro. Il dato è su di un livello globale, quindi non parametrato alla sola Italia; leggerlo però può essere di aiuto per avere un quadro più preciso di che cosa accade nel mondo del lavoro.

La maggior parte delle competenze richieste appartiene a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (conosciute con l’acronimo STEM in inglese). La gestione di informazioni è richiesta dappertutto per fare fronte alla sua sempre maggiore disponibilità (per esempio capacità di analisi dei dati e statistica sono richiestissime). La conoscenza di una seconda lingua è molto richiesta da parte di aziende che operano a livello globale e devono gestire i rapporti con clienti di tutto il mondo. Nei due elenchi pubblicati ci sono sia le maggiori competenze a livello globale che quelle suddivise per Paesi (purtroppo nulla rispetto all’Italia). Per il mercato interno potremmo rifarci a dati quali quelli di Unioncamere sul fabbisogno di lavoro interno (sistema Excelsior): qui le cose cambiano abbastanza (e lo vedremo in un prossimo post) anche perché, purtroppo, molti passaggi di quella che è stata definita da più parti come la rivoluzione digitale il nostro Paese li ha saltati o sta ancora aspettando di farli. Riusciremo a recuperare? Ce lo auguriamo ma nel frattempo per tenerci al passo con i tempi ed essere sempre più aggiornati possibile prestiamo attenzione a quello che accade nel resto del mondo: prima o poi lo vedremo anche qui.

Jobs act per donne (e non solo)

jobs act per donneLungi dal compiersi delle pari opportunità effettive, nel nostro Paese qualcosa si muove anche per quello che riguarda il mondo del lavoro e le donne. I problemi sono diversi e rilevanti: l’accessibilità alla carriera, il riconoscimento delle competenze, la valutazione effettiva dei risultati, la discriminazione di fatto in alcuni settori. Ma anche quando il lavoro è una opportunità effettiva i problemi non mancano. Come abbiamo letto qui il dato tutto italiano è l’abbandono del lavoro delle mamme alla nascita del primo figlio: lo fa quasi un terzo delle donne occupate, secondo i dati diffusi dall’Istat e dall’Isfol. Se infatti prima della nascita dei figli lavorano 59 donne su 100, dopo la maternità ne continuano a lavorare solo 43“. Dunque un nodo cruciale è senz’altro (e ancora!) la maternità.

Qualcosa forse potrà cambiare nei prossimi mesi, perlomeno a livello giuridico. Infatti una delle deleghe previste dal jobs act riguarda la tutela della genitorialità (i figli non sono una questione riservata alle donne che li partoriscono). Come ormai avrete imparato il famigerato jobs act è una sorta di cornice di riferimento per una serie di azioni che riguardano il lavoro; cornice dalla quale poi nasceranno normative specifiche per regolare i singoli settori di intervento. E così, anche in questo caso, ci sono le linee guida che poi i successivi interventi normativi dovranno seguire. Ecco quelle che riguardano il lavoro e le donne: rafforzamento nella tutela dei diritti; misure fiscali per favorire la partecipazione del secondo percettore di reddito; potenziamento dell’offerta di servizi; flessibilità. Che cosa potrebbero significare nel concreto?

L’articolo di Casarico e Del Boca su Lavoce.info lo spiegano in questo modo. Un primo passo importante sarà in primo luogo l’estensione del diritto al congedo di maternità a tutte le categorie di donne lavoratrici. Un secondo passaggio sarà quello del credito di imposta: un credito per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale. L’obiettivo in questo secondo caso è anche quello di costituire un importante incentivo all’offerta di lavoro. Rimane però il nodo dei contratti a progetto: il jobs act non li abolisce, nemmeno per le donne o per certe situazioni contingenti, come la maternità, che potrebbero far scattare una riserva di tutela aggiuntiva.  “Ciò può avere effetti più pesanti per le donne, che già ora più numerose nei contratti a termine (14,2 per cento contro il 12,6 per cento per gli uomini nel 2013): i datori di lavoro avrebbero infatti possibilità di fare alle donne contratti brevi e di non rinnovarli alla scadenza in caso di gravidanza, aggirando i vincoli alle dimissioni in bianco.

Dal punto di vista dell’assistenza il jobs act propone anche una profonda integrazione pubblico-privato dell’offerta di servizi per l’infanzia. Quello a cui dovremmo assistere dovrebbe essere l’estensione di una buona pratica adottata in alcune regioni come l’Emilia Romagna in cui anche in tempo di crisi gli asili non sono diminuiti, anzi in certi casi aumentati. Dovrebbero così aumentare in numero ed in qualità servizi come l’asilo aziendale, quello condominiale e più in generale un’offerta di assistenza all’infanzia e alla genitorialità più varia. Infine per quello che riguarda la flessibilità (quella buona) dovrebbero riguardare prevalentemente le donne misure come il telelavoro, la flessibilità di orario di lavoro e la possibilità di cessione dei giorni di ferie tra lavoratori per attività di cura di figli minori.

Fin qui sembra tutto ok. C’è un “ma”. Queste misure sono subordinate alla condizione che non comportino ulteriori spese a carico dello Stato. E su questo punto ci sembra di poter condividere e sottoscrivere la considerazione finale delle due redattrici dell’articolo: “il rischio è che per quanto significative o condivisibili possano essere le politiche, la loro realizzazione dipenderà dall’effettivo reperimento di risorse economiche. E finora il nostro paese non è riuscito a considerare queste misure come prioritarie per lo sviluppo, e quindi in cima all’agenda politica. Un cambio di passo è quanto mai necessario“. Chiaramente, ci auguriamo anche noi un cambio di passo: non solo per le donne, ma per tutti noi.

Le dosi giuste di una settimana

dosi giuste settimanaNon so se vi capita mai di contare quanto tempo manca a… qualcosa che attendete. La sensazione che proviamo solitamente arrivati alla fine è quella che potremmo sintetizzare nell’espressione “di già?!”. Questo accade perché il nostro rapporto con il tempo non è “oggettivo” (anche se razionalmente dovrebbe esserlo, le giornate son tutte da 24 ore): risentiamo delle emozioni provate in certi momenti e delle frustrazioni di altri che ci fanno di volta in volta “allungare” o “stringere” il tempo (anche se magari son sempre gli stessi 5 minuti).

Potrebbe esserci però un modo per poter quantomeno avere una concezione più precisa del tempo che passa. Se non altro per capire quando ci avvengono le cose e come possiamo fare per essere (anche emotivamente) le persone giuste nel momento giusto. L’esempio è quello proposto da questo post del blog “Wait but why” in cui viene rappresentata la vita media di una persona attraverso le settimane (anzichè gli anni o i mesi). Frazionare in settimane un periodo lungo come una vita aiuta il nostro cervello ad averne una percezione meno lontana, a comprenderla meglio. Per esempio, sperando di non essere troppo cinici, nell’immagine qui sotto ci sono alcune morti famose localizzate in un quadro che divide una vita di 90 anni in settimane.

Settimane in cui sono morti personaggi famosi (clicca per ingrandire o scaricare l'immagine)

Settimane in cui sono morti personaggi famosi (clicca per ingrandire o scaricare l’immagine)

A cosa può servire una cosa del genere? Probabilmente potrebbe aiutarci ad utilizzare lo stesso schema per decidere delle cose che riguardano la nostra vita (chiaramente non la nostra morte). Nel post si fa un altro esempio: immaginiamo che ogni settimana sia un diamante, piccolo e prezioso: i diamanti che compongono la nostra vita entrerebbero facilmente in un cucchiaio. Riusciamo a visualizzare questo cucchiaio di diamanti? Bene. Immaginiamo allora che ciascuna delle nostre settimane debba essere preziosa quanto un diamante. Abbiamo solo due modi per utilizzre i diamanti: amare i diamanti oppure fare qualcosa che ci renda i diamanti apprezzabili, piacevoli. Lo stesso vale per le nostre settimane, abbiamo due soli modi per renderle preziose: amarle per quello che sono o fare qualcosa che ce le renda amabili.

Qualche volta capita che nessuna delle due cose accada: abbiamo settimane che non ci piacciono e non riusciamo a fare nulla, all’apparenza, che possa cambiarle. Come dire, ci sono giornate storte, così come ci possono essere settimane storte. Capita a tutti ed a volte anzi è salutare: è grazie ad una settimana storta che spesso riusciamo a trovare la motivazione per dare la giusta forza ad una fase di cambiamento che avremmo voluto. Evitare del tutto le settimane storte forse non è possibile. Ma, ad esempio, potremmo provare ad utilizzare un calendario settimanale della nostra vita per capire come possiamo aggiustarle. Il modo per utilizzarlo è duplice: da una parte (per le settimane della vita già passate) possiamo evidenziare gli obiettivi raggiunti e i momenti che ci fa piacere ricordare. Dall’altra, per le settimane a venire, possiamo identificare obiettivi o cose che ci piacerebbe fare. Nel post che vi abbiamo segnalato, per chi mastica un minimo di inglese, c’è una spiegazione migliore per l’utilizzo di un calendario della vita a settimane. Potrebbe essere una cosa divertente e più che altro potrebbe aiutarci ad essere consci e consapevoli di quali siano le dosi giuste per ciascuna settimana della nostra vita, comprendendo che è sicuramente preziosa quanto se non più di un cucchiaio di diamanti.