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Abitudini, comodità e marketing

Quanto la tecnologia possa aver cambiato il nostro modo di lavorare o fare acquisti è chiaro a tutti: gestiamo i nostri appuntamenti attraverso calendari e reminder del telefono, ordiniamo su internet una parte sempre più consistente delle cose che acquistiamo. La tecnologia digitale, da questo punto di vista ci ha aiuta a fare meglio di un tempo anche cose semplici. Ciò di cui ci accorgiamo con meno facilità sono le mutazioni che la tecnologia applica alle nostre abitudini, le azioni che compiamo ripetutamente e che facciamo non perché ogni volta analizziamo che quello sia il modo migliore di farlo o perché “istintivamente” facciamo così. Le abitudini ci aiutano a (non) fare scelte su questioni che ormai abbiamo valutato una volta per tutte, sono potenti perché creano dipendenza. Le abitudini possono essere difficili da contrastare e, qualche volta, anche da cambiare leggermente.

Chi lavora nel mondo digitale questa cosa la sa bene credo. Se ci abituiamo a utilizzare Facebook per rimanere aggiornati su ciò che accade attorno a noi, faremo fatica a privarcene; se ci abituiamo a camminare con lo sguardo fisso sullo smartphone, sarà poi difficile alzare gli occhi al cielo; se per comunicare utilizziamo WhatsApp anzichè fare una telefonata quello diventerà il nsotro principale modo di interagire con gli altri. Gradualmente con il tempo le abitudini cambieranno anche le nostre capacità: scommettiamo che tra qualche tempo aumenteranno i problemi di disgrafia (ammesso che continueremo ancora per molto a scrivere anche con penne e matite)? Per altri versi, e ahimè in maniera tragica, lo hanno già fatto: chattare mentre sei alla guida è davvero un comportamento che può avere conseguenze mortali.

Le abitudini non sono una cosa cattiva in assoluto, basti pensare alle buone abitudini come quelle di fare esercizio fisico, mangiare sano, leggere un libro. Le abitudini attecchiscono laddove trovano la nostra comodità: questa è la parola magica con la quale anche la tecnologia attuale riesce a cambiare molte delle nostre abitudini. Fare acquisti mentre siamo seduti sul divano è più comodo che andare in un negozio negli orari stabiliti in mezzo alla gente (e magari fare la coda in cassa o in auto). Ora la domanda è: come si fa ad indovinare quando una comodità può far innescare un’abitudine?

La risposta la conoscono bene aziende come Amazon o Google che hanno fatto della conoscenza delle nostre abitudini il loro core business. Eh già perché raccogliendo nel tempo (e nemmeno troppo) una serie di dati sui nostri comportamenti in rete (i famosi big data) ci conoscono ogni giorno di più e possono utilizzare il marketing, la scienza della persuasione, in una maniera molto più sofisticata (subdola direbbe qualcuno) di un tempo. Gli slogan di un tempo, sparati in TV e a grandi lettere sui giornali, hanno lasciato il campo al tracking, la registrazione dei nostri comportamenti minuto per minuto, di quello che accade nel mondo che viviamo metro per metro. Ecco allora che quando cerchiamo il prezzo più conveniente nei nostri e-commerce preferiti, comodi sul divano,  quello che troviamo è, e sarà sempre più spesso, il prezzo migliore per il nostro status di consumatori in quel momento e in quel luogo, non quello più basso in assoluto (sapete che ci sono negli Stati Uniti distributori automatici di bibite il cui prezzo cambia in base alla temperatura esterna?). Lo scambio implicito è: informazioni contro comodità e convenienza. Chi non accetterebbe?