Marzo è finito, e le donne?
Questo mese surreale è finito, e sta cambiando radicalmente le nostre abitudini senza guardare in faccia a niente e nessuno: confini, città, nazioni, origine e religione, ricordandoci che siamo tutti soggetti alle stesse malattie e alle stesse leggi della natura.
L’epidemia, poi pandemia, ha infatti trasformato il mese di marzo, generalmente dedicato alla donna, nel mese della quarantena.
Questo evento di rilevanza mondiale ha oscurato tra le altre cose la ricorrenza dell’8 marzo, ma soprattutto ha fatto passare in secondo e spesso in terzo piano la situazione di molte donne.
A voler vedere un aspetto positivo, il coronavirus ci ha liberato, diciamolo, da tutta l’annuale retorica che confonde la giornata internazionale della donna con una festa condita da ringraziamenti alle donne per quello che fanno e sopportano tutto l’anno, salvo poi tornare alle solite (brutte) abitudini. Ci siamo risparmiati iniziative che insistono proprio sugli stereotipi che sono invece da comprendere e superare. La donna che una volta all’anno da oggetto si mette dalla parte di chi guarda l’oggetto (le feste a base di torsi nudi maschili), per poi tornare dov’era il giorno dopo. O la donna come creatura la cui essenza si esaurisce in dolcezza, sorrisi, poesia, abnegazione e sacrificio per la famiglia, maternità e passi indietro. Tutte immagini che se applicassimo agli uomini ci farebbero quanto meno notare l’inconsistenza di tale rappresentazione di una persona. Per non parlare dei discorsi sulla violenza di genere, sempre concentrati sulla violenza fisica, e che dimenticano tutte le altre forme di violenza, altrettanto limitanti e lesive dei diritti e della dignità delle persone.
Ci sono però aspetti già problematici che sono notevolmente peggiorati con la situazione in cui ci troviamo. L’emergenza coronavirus ha fatto esplodere un’altra emergenza, quella delle violenze domestiche e dell’isolamento delle donne a rischio di maltrattamenti. Le misure restrittive hanno reso ancora più vulnerabile chi vive in situazioni di pericolo e sotto minaccia dei conviventi maltrattanti. Essendo costrette a casa per la maggior parte del tempo, è più difficile avere la possibilità di contattare i CAV – Centri antiviolenza, che hanno visto infatti un calo dei contatti.
Calo che non ha certo significato il cessare delle violenze e dei maltrattamenti, come i casi di cronaca riportano, anche vicino a noi.
E’ importante quindi ricordare che, anche in questo periodo, per supporto o per consiglio si possono contattare telefonicamente i centri antiviolenza, come quello di Ancona gestito da Donne e giustizia, al numero 071 205376 o al numero verde 800 032 810, oppure il 1522, Numero Nazionale Antiviolenza Donne, attivo 24 ore su 24.
Da qualche tempo il 1522 è anche un’app, attraverso la quale è possibile chattare con le operatrici e chiedere aiuto e informazioni in sicurezza, senza correre il rischio ulteriore di essere ascoltate dai possibili aggressori. Contattare un centro serve anche a capire se effettivamente si sta vivendo in una relazione maltrattante e se si è a rischio. Le operatrici potranno dare consigli su come comportarsi per minimizzare i rischi.
Nei casi in cui ci si trova in pericolo il consiglio è quello di contattare le forze dell’ordine, come la polizia, che anche ad Ancona ha avviato lo scorso febbraio il progetto di sensibilizzazione “Questo non è amore”. Si può utilizzare il numero 112: la chiamata, sia da telefono fisso, che cellulare è gratuita. Si può usare una lingua diversa dall’italiano, grazie al servizio multilingue, che traduce la chiamata con l’aiuto di un interprete.
Una iniziativa che riguarda la situazione di difficoltà seguita alle restrizioni è stata presa la settimana scorsa dal Ministro dell’Interno. Tutte le Prefetture, a seguito delle difficoltà nell’accogliere donne vittime di violenza, sono infatti state invitate dal ad attivarsi per individuare e rendere disponibili ulteriori alloggi, con la garanzia della necessaria sicurezza sanitaria.
Per poter vedere diminuire i numeri che riguardano le violenze prima del prossimo marzo è necessaria l’attenzione di tutti. Anche ai vicini di casa sono persone a cui chiedere aiuto per poi intraprendere il percorso di uscita da una situazione di maltrattamenti. E i vicini di casa siamo tutti noi.