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Come la cucina pò aiutarci in qualsiasi altro lavoro

Inizio questo articolo con una nota di orgoglio. Sono davvero soddisfatto di aver organizzato durante questo anno una serie di iniziative che hanno unito due aspetti della mia vita a cui sono molto affezionato: il lavoro (inteso come mondo del lavoro) e la cucina (una passione che ho coltivato tra corsi di formazione e fornelli di casa). Il percorso Be Smart declinato nella versione “food” ci ha permesso di realizzare prima un evento dedicato alla scoperta delle soft skill di questo mondo e poi un percorso di formazione dedicato alle stesse: è stato, per certi versi, anche un modo per esplorare un modo diverso di fare orientamento professionale.

Il tema, però, non è la mia soddisfazione. Ho notato che ci sono delle simmetrie tra il mondo della cucina e quello del lavoro che riguardano l’universo delle competenze trasversali (soft skill) e un’idea più articolata di che cosa significhi orientarsi e districarsi nel mondo del lavoro: secondo il mio punto di vista, ha molto a che fare con lo sviluppo dell’autonomia, intesa come la capacità e l’atteggiamento mentale di trovare risorse proprie per affrontare problemi e situazioni nuove o, più semplicemente, tracciare un proprio percorso.

Il primo aspetto, che reputo fondamentale, è il fatto che la cucina ti obbliga a mettere insieme mani e cervello (e cuore): è un lavoro fisico, prevalentemente, ma più lontano di altri da meri automatismi e routine (certo, il lavoro in questo settore non è sempre il trionfo della creatività ma è altrettanto vero che sono più frequenti che altrove imprevisti e trucchi per fare i “soliti” lavori in modo diverso). La passione è fondamentale per superare ostacoli, fatiche e delusioni. Credo che sia superfluo, poi, argomentare su come, da certi livelli di specializzazione in poi, la parte intellettiva sia fondamentale per creare non solo piatti gourmet ma anche strategie vincenti.

Un secondo aspetto riguarda più da vicino le hard e le soft skill: la cucina ti insegna a organizzarti, a pianificare, a risolvere problemi e a usare la creatività. La razionalità è necessaria per fare scelte competenti e sagge che riguardano motivi etici (oggi) ed economici (da sempre! Ogni scarto in cucina sono soldi buttati via, meglio limitarli). L’empatia è utile non solo per indovinare il gusto del pubblico, ma anche perché chi cucina entra in maniera quasi intima in contatto con chi mangia e consuma ciò che viene cucinato: il rapporto di fiducia (seppur tutelata con norme e regolamenti del settore) che si instaura è più alto (e a volte inconsapevole) che in altri contesti. Se poi allarghiamo un pochino l’orizzonte ad altri ambienti, rimandando nel food, ci sono altrettante competenze trasversali che si sviluppano in chi sperimenta lavori come il cameriere e il barista ma anche l’accoglienza e e l’assistenza ai clienti nelle strutture ricettive (il background e l’esperienza di uno scrittore e filosofo com Sandro Bonvissuto non sono casuali)

Se togliamo “la cucina” da queste argomentazioni rimangono contenuti che possiamo utilizzare in tanti altri settori e contesti senza che perdano efficacia e importanza. Si tratta di un universo che contribuisce molto a sviluppare ed arricchire quelle che sono definite “charachter skill” in un testo edito da Il Mulino dal titolo “Viaggio nelle character skill. Persone, relazioni, valori” (G. Chiosso, A.M. Poggi, G. Vittadini). Come si legge nella prefazione, le character skill sono disposizioni della personalità, quali l’apertura mentale, la capacità di collaborare, la sicurezza. In un’epoca in cui le trame del personale e del professionale si intrecciano, la cucina è una palestra per scoprire ed esercitare le nostre competenze e le nostre abilità personali.

competenze trasversali soft skill

Cv a puntate: competenze trasversali e soft skill

Qual è la parte del cv più difficile da scrivere? Proprio quella della competenze trasversali, in cui devi saper raccontare che cosa sai fare, al di là delle conoscenze relative al tuo settore, e soprattutto come lo sai fare.
La maggior parte di noi, una volta buttata giù qualche riga sul titolo di studio e le esperienze di lavoro, pensa: “fatto!”. Invece è proprio in questa sezione del cv che possiamo differenziarci da tutti quelli che hanno il nostro stesso titolo di studio, e più o meno le stesse esperienze di lavoro.

Che cosa devi metterci? Di cosa dovresti parlare?
Cominciamo dalle competenze più semplici, che sono le conoscenze linguistiche e informatiche, o tecniche.

Nella parte del cv dedicata alle conoscenze linguistiche specifica qual è la tua madrelingua e le altre lingue che conosci, ognuna con accanto il tuo livello di conoscenza. Ti consiglio di utilizzare delle parole semplici, che facciano capire a chi legge che uso puoi fare di quella lingua (conoscenza base, intermedia, fluente, ottima) e magari se sai anche scrivere, e non solo usarle per parlare.
Attenzione però, non indicare il voto che avevi o hai a scuola, ma una autovalutazione del tuo livello di conoscenza della lingua. Se hai delle certificazioni, aggiungi anche quelle (nome e data di conseguimento). Naturalmente non scriverai che conosci l’italiano (o la tua madrelingua) molto bene… il tuo livello è, appunto, madrelingua! (cioè la conosci benissimo). Usa le definizioni dei livelli europei (A1, A2, fino al C2) solo se pensi che la persona a cui invierai il tuo cv le può capire.
Chi utilizza naturalmente, e in maniera corretta e fluente, due lingue, può indicarle entrambe come madrelingua. Chi invece non ha conoscenze linguistiche, e magari lavora in un settore o in una posizione per cui non servono, può eliminare del tutto la sezione relativa alle conoscenze linguistiche. Ricordiamoci che il cv serve ad evidenziare i punti di forza e le conoscenze, e non quello che non so o non so fare.

Poi, sezione competenze informatiche. Nomina i sistemi operativi che sai usare, i programmi e le applicazioni che conosci e che usi. Navigazione internet e posta elettronica ormai vengono dati per scontati. Attenzione invece a eventuali software di settore, ad esempio il CAD, programmi utilizzati in contabilità, o per la gestione del magazzino o dell’archivio.

Una storia a parte è quella dei canali social che utilizzi e che possono essere interessanti: sempre più aziende e professionisti li utilizzano per farsi conoscere, farsi trovare e promuovere i loro servizi e prodotti. Se ne sai usare alcuni in maniera almeno semi-professionale (non basta avere un profilo Instagram per poterlo usare come strumento di lavoro), indicalo in questa sezione.

Ora, andiamo alle importantissime soft skill, quelle che riguardano il modo in cui ti approcci alle cose, al lavoro, alle persone. Questa è la parte veramente più difficile da scrivere, perché implica un momento di riflessione su se stessi, e una certa dose di consapevolezza. Ma è anche la parte del tuo cv che molti datori di lavoro guarderanno con particolare attenzione, perché le soft skill sono sempre più rilevanti quando si tratta di scegliere un nuovo collaboratore. Prenditi qualche momento per riflettere su quali sono i pregi, gli aspetti positivi del tuo carattere e del tuo modo di fare, che magari anche le persone a te vicine ti riconoscono. Cerca di ricordare se ci sono state occasioni o esperienze nelle quali le hai utilizzate o le hai sviluppate, e menzionale brevemente in questa sezione.

Ecco le aree di competenze che di solito si trovano nei cv, e le domande a cui devi provare a rispondere. Quali sono le tue qualità personali, le capacità di relazione, di comunicazione, di organizzazione che hai sviluppato o sperimentato nel corso della tua vita, non solo professionale?
Sai gestire il tuo lavoro autonomamente? Sai adattarti in ambienti che non sono quelli che frequenti di solito, e sai capire i diversi contesti per adeguare la tua comunicazione o il tuo approccio alle persone? Hai già avuto esperienze di attività in equipe di lavoro multiculturali? Sai organizzare un evento, o una riunione, o delle attività ricreative per bambini?

Una volta messe a fuoco queste informazioni da inserire, puoi veramente considerare completo il tuo cv!

 

Il mondo del lavoro sta cambiando

Forse è finito il tempo della flessibilità? Siamo pronti ad una nuova era e a un nuovo paradigma? Qualcosa nel mondo del lavoro sta cambiando e lo sta facendo lentamente come qualche volta accade con i cambiamenti che diventano rivoluzioni. Che le cose non siano più come una volta ce ne siamo accorti da un po’, ma forse fatichiamo un po’ di più a immaginare e capire come saranno nel futuro. Forse mi sbaglio ma mi sembra di poter dire che sta finendo il tempo dell’incertezza, dell’insicurezza e dello smarrimento e stiamo entrando in un tempo di maggiore consapevolezza della trasformazione che c’è stata negli ultimi anni. Provo a spiegarmi meglio con qualche esempio.

La scorsa settimana a Bologna durante il Festival del Lavoro Nobilita, ho ascoltato un dibattito sul lavoro da freelance: la cosa che ho notato, al di là della retorica della libertà (spesso finta) di questo tipo di lavoro, è che ci sono scelte di autonomia e instabilità (professionale, anzi contrattuale) che si fanno per scelta convinta e con una visione che va oltre la necessità di trovare un posto di lavoro. Anzi, in molti casi il posto nemmeno c’è perché quella dei freelance può essere anche una scelta di mercato, di visione, di opportunità da cogliere. Poi chiaramente ci sono le finte “partite IVA”, le scelte obbligate dettate solo dalla contingenza; ma c’è la possibilità anche di vedere e andare oltre, partendo con poco. A me pare che questo sia un modo intelligente, e coraggioso, di rimettere al centro la persona con la sua professionalità: a farlo non è più, come un tempo, la sicurezza del posto fisso, ma la visione del mondo dell’individuo e la sua capacità di vedere e sfruttare i cambiamenti.

Ci sono esempi anche sul versante delle imprese. Aziende come Toyota, pur essendo molto concentrate sulla tecnologia, hanno capito che a dare valore ai loro prodotti sono le persone. Il Presidente di Toyota ogni anno premia il miglior saldatore tra tutti quelli che lavorano nel mondo nei suoi stabilimenti. Nell’epoca in cui le macchine si guideranno da sole grazie allo sviluppo tecnologico, questa impresa premia il più artigianale dei lavori che ha al suo interno? Forse non crede nello sviluppo tecnico? Nostalgia del passato? Il motivo è al tempo stesso meno romantico e più profondo: anche quelli di Toyota hanno capito che al centro devono tornare le persone. Ci sono imprese poi che stanno sperimentando metodi organizzativi non gerarchici, come la olocrazia, un metodo secondo il quale a prendere decisioni non sono più i capi di una struttura gerarchica ma i membri della stessa struttura organizzati in maniera diversa. E se è vero che questa cosa non semrpe funziona al meglio, come nel caso dell’azienda americana Medium, è al tempo stesso innegabile che sono comunque tentativi di spostare il baricentro dell’attenzione, degli interessi e della governance (per utilizzare un termine alla moda) sulle singole persone.

Il messaggio che a me pare di poter cogliere da tutti questi movimenti è che le persone torneranno al centro nel mondo del lavoro come lo erano una volta per intensità ma con modalità molto diverse. Rimangono il fattore produttivo (che brutta parola!) determinante. Per esserlo non basta più, ahimè, avere la fortuna di occupare un posto, ma è necessario sviluppare delle competenze. Di questo tema torneremo a parlare presto perché stiamo giusto organizzando in questi giorni un evento di prossima realizzazione dedicato alle competenze che ci serviranno per fare i lavori dle futuro: noi le abbiamo chiamate smart skill e ve le presenteremo con alcuni testimonial d’eccezione. Come si dice in questi casi, stay tuned!

Le soft skill non sono così morbide

Le soft skill (sapete cosa sono? Leggete brevemente qui) sono già oggi tra le competenze che più dovremmo curare per poterci definire professionisti a tutti gli effetti. La preparazione tecnica specifica è sicuramente un fattore determinante nel posizionamento nel mercato del lavoro e tradotto in parole più semplici significa che senza un’adeguata e solida preparazione didattica si rischia di rimanere ai margini del mercato del lavoro, raccogliendo solo quello che gli altri (quelli preparati scartano). Le soft skill ci aiutano però per almeno due cose: distinguerci dagli altri con la nostra stessa preparazione e muoverci meglio nel sistema di contatti e opportunità nel quale viviamo (più genericamente potremmo dire nell’ambiente professionale).

Un’indagine fatta negli Stati Uniti ha rilevato che tra il 2000 e il 2012 sono aumentate le posizioni lavorative che richiedono le cosiddette capacità non-cognitive, quelle cioè che prevedono abilità come comunicare e lavorare in gruppo, contrapposte solitamente a quelle che prevedono un certo livello di quoziente intellettivo oppure la capacità di raggiungere risultati in un certo ambito. Significa che le soft skill sono diventate a un certo punto un valore aggiunto di qualsiasi candidato, anche quelli con una buona preparazione culturale, tecnica e scientifica. A validare questa ipotesi c’è anche una ricerca universitaria (sempre degli USA) che ha analizzato quelle che nel paese nordamericano chiamano STEM. L’acronimo sta per Science (Scienze), Technology (Tecnologie), Engineering (Ingegneria), Mathematics (Matematica).

Le STEM sono state, a partire dagli anni ’80, le dottrine che hanno colonizzato lo sviluppo e la crescita economica mondiale. Sono le materie con le quali, anche nel nostro Paese, si poteva trovare con una certa facilità un lavoro nella fascia lata del mercato; le materie della classe dirigente in buona sostanza. La formazione scientifica, che accomuna queste quattro categorie, è stata per anni il faro della civiltà (e lo è ancora per molti versi). La ricerca universitaria fatta da David Deming, economista della Harvard University evidenzia come la forza lavoro con maggior componenti di soft skill sia cresciuta più di quanto non lo abbiano fatto quelle con minor componenti di queste (le STEM). In buona sostanza nell’arco dei dodici anni che vanno dal 2000 al 2012, le soft skill hanno superato in crescita le competenze tecniche strettamente intese (nell’immagine che mettiamo questo meccanismo è ben evidente con le professioni con soft skill preponderante in minuscolo e le professioni più squisitamente tecniche in maiuscolo).

soft skill VS STEM

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Attenzione però, anche il ricercatore ricorda che questo non significa che bisogna abbandonare gli studi tecnici. Fa però porre l’attenzione su una tendenza di cambiamento, legata alla generale conquista dell’informatica e delle tecnologie di vari settori. Detto in parole molto semplici, mano a mano che i computer (passatemi questo termine per intendere fenomeni come il machine learning e l’intelligenza artificiale) imparano a eseguire compiti tecnici (dal calcolo in poi), noi esseri umani saremo sempre più importanti in abilità di tipo trasversale che le macchine fanno più fatica a crescere. Le soft skill, forse, alla fine saranno quelle che continueranno a regalarci un posto privilegiato nel mondo del lavoro.