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Tecnologia attraente

La tecnologia, soprattutto quella digitale, sta giocando un ruolo da vera protagonista della nostra epoca ed è la cosa più attraente con cui abbiamo avuto a che fare negli ultimi anni. Credo che sia un dato che accomuna i presunti “millenials” e chi si è ritrovato ad averne a che fare in età già adulta: per i primi è un’attrazione quasi connaturata, per i secondi un fascino irresistibile accompagnato spesso dalla sorpresa relativa al confronto con il passato (la sensazione è quella del tipo “wow! niente più fila in banca per fare un bonifco!”).

Questa tesi, semplice e banale, è anche supportata da qualche dato. Per esempio quello sulle spese effettuate dagli italiani che sono quelli che spendono maggiormente in Europa per l’acquisto di device tecnologici: siamo i primi (almeno in questo) con una spesa che è doppia rispetto a quella di inglesi e francesi e supera di un terzo quella di spagnoli e tedeschi. Ora, la domanda che mi faccio è: ma tanto “affetto” è ricambiato? Il nostro amore per la tecnologia è corrisposto?

La tecnologia digitale in molti casi ci ha semplificato la vita, ci ha permesso di velocizzare molte attività e raggiungere distanze (anche in senso metaforico) a cui prima non potevamo arrivare. Da un certo punto di vista è stato come mettere il turbo, un’energica spinta alle nostre vite. Alla accelerazioni bisogna però essere preparati e noi non sempre lo siamo stati: siamo diventati un po’ più soli (che non è la solitudine classica, è più un modus vivendi molto autonomo, forse troppo), più distratti (e per questo meno informati nonostante la enorme disponibilità di notizie), più superficiali.

Forse talmente tanto che se ne è accorto anche uno che con la tecnologia è diventato miliardario: Mark Zuckerberg. La notizia di oggi è che, riporto i giornali, “Facebook ci vuole più felici”: Ora, io lo so che questo annuncio è una trovata pubblicitaria, una frase ad effetto (semplice) per garantire l’immagine di un’azienda che vuol dimostrare di avere e sentire una responsabilità sociale. Però se Facebook, siccome “gli utenti che sono attivi sui social network si sentono meglio al termine della loro esperienza online, rispetto a quelli che si limitano a osservare che cosa condividono gli altri“, decide che questa cosa va incoraggiata è perché il nostro livello di disattenzione (che poi è più che altro una certa incapacità di assorbire e comprendere i contenuti) è talmente elevato che rischia di incidere sull’efficacia del social network (e quindi sulla sua redditività). La questione, dal mio punto di vista, è che rischiamo di essere affascinati più dal come le cose accadono, che dalle cose che accadono e dal perché accadono. Del tipo: “che figo, dal mio smartphone posso vedere il video della bomba che esplode”. Ma quella è una bomba! Che esplode! Lo stesso meccanismo che avviene per la diffusione delle bufale (fake news): la velocità e l’enfasi (grande nemica di questi tempi a mio modo di vedere) con cui ci arrivano, bloccano le nostre capacità critiche, la possibilità che avremmo di ragionare prima di diventare noi stessi distributori di stupidaggini.

Non voglio dire che la colpa è della tecnologia, sarebbe talmente banale da essere sbagliato. Ma quell’attrazione che proviamo, ogni tanto, forse dovremmo metterla in discussione e capire se non possiamo diventare, soprattutto, un po’ più consapevoli.

(Photo by rawpixel.com on Unsplash)