Perché è importante scrivere bene (in italiano)
Scrivere bene in italiano è una competenza che spesso viene considerata scontata ma che nel tempo trova sempre meno adepti.
La conoscenza della lingua del proprio paese è, in teoria, un requisito fondamentale (l’italiano questo sconosciuto). Non solo per le attività professionali, ma anche per la vita di tutti i giorni. Allo stesso tempo però è altrettanto vero che alcune competenze linguistiche di base si indeboliscono: lo si può notare nella lingua parlata di tutti i giorni, negli articoli di giornale e, soprattutto oggi, nel brulicare di testi che ci sono su internet (compresi i post nei più diversi social network).
Di per sé questo, pur essendo un peccato per certi versi, non è un male in assoluto: le lingue sono vive, cambiamenti e trasformazioni fanno parte integrante del loro sviluppo (nel 2016 non utilizziamo le stese parole ed espressioni che venivano utilizzate nell’ottocento. Ciò che invece è decisamente più allarmante è l’aumento di errori grammaticali, anche per questioni linguistiche molto semplici: la “A” del verbo avere senza “H” che è decisamente grave. Ma ci sono anche altri errori oggi molto comuni : “po’” scritto con l’accento invece che la forma corretta “po’” con l’apostrofo; “qual’è” scritto con l’apostrofo mentre deve essere scritto senza; “davanti la casa” invece del corretto “davanti alla casa”; “fuori la porta” invece del corretto “fuori dalla porta”; le frasi introdotte da “malgrado che”, “a condizione che” prive di congiuntivo; le forme “sò” e “sà” del verbo “sapere” scritte con l’accento, mentre devono essere scritte senza; infine l’immancabile “piuttosto che” utilizzato come alternativa tra più opzioni invece di contrapposizione tra due soltanto (in altre parole è un sinonimo di “anziché” e non di “oppure”). La domanda di chi legge a questo punto potrebbe essere: a chi interessa tutto ciò?
La risposta a questa obiezione la lasciamo a due autori, Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, autore di un libro proprio sugli errori grammaticali (Senza neanche un errore, Sperling & Kupfer editore, 2016): “Oggi è più che mai importante esprimersi in un italiano corretto. Al tempo del web qualcuno pensa che ogni trasgressione linguistica sia lecita, in nome della libertà individuale a mettere in rete le proprie opinioni e i propri sfoghi. Ma nelle situazioni diverse dagli incontri nei social network si viene ancora giudicati in base alla lingua che si usa. L’italiano è il primo biglietto da visita di una persona: nelle interviste, nei colloqui di lavoro, nei contatti con chi non conosciamo, appena apriamo bocca o scriviamo una lettera o un curriculum, diamo di noi la rappresentazione più reale. Lo strafalcione, la costruzione sintattica zoppicante, la parola usata a sproposito rivelano immediatamente la mancanza di cultura, l’approssimazione, e perfino il poco rispetto nei confronti dell’interlocutore. Che cosa vuol dire, oggi, esprimersi in buon italiano? Significa, a nostro avviso, saper fare quattro cose: nel parlato, adattare il tono della lingua alla situazione; nello scritto, non trascurare gli aspetti formali; in entrambi, dominare le regole essenziali della grammatica e combinare le parole e le frasi in modo corretto“.
Più in generale dovremmo rifuggire dall’idea che se una espressione scorretta va bene per noi, possa andare bene anche per il pubblico che ci ascolta. Cosa può accadere con un errore grammaticale in una lettera di presentazione allegata ad un cv oppure dentro il cv stesso? Probabilmente ci preclude la possibilità di avere un’opportunità di lavoro. Direte voi: sì, vabbè, la sostanza però non cambia. E invece cambia eccome. Se sbagliate a scrivere in italiano (per ignoranza, sbadataggine, poca cura), che cosa potreste combinare con altre competenze che richiedono, si presume, un’abilità anche maggiore?
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