Perché abbiamo “giocato” con i Lego
Il mese scorso, come forse qualcuno avrà notato dai post sui nostri social network (Facebook, Instagram) abbiamo dedicato una giornata a quello che ai più sarà sembrato un gioco con i mattoncini Lego. Vi spiego perché lo abbiamo fatto: potremmo trovarci qualche spunto utile e valido in maniera generale.
Cominciamo col dire le cose come stanno: non abbiamo giocato con i Lego, abbiamo partecipato a un workshop realizzato con il metodo Lego® Serious Play® (in sigla LSP). LSP è un metodo nato dall’intuizione, potremmo dire combinata, di alcuni ricercatori della casa danese costruttrice di mattoncini e di Robert Rasmussen un formatore (sperando che questa qualifica non lo offenda) che nel 2010 ha sviluppato l’idea di utilizzare le costruzioni per supportare gruppi e team nel prendere decisioni, sviluppare pensieri e idee, comunicare meglio. Chi utilizza questo metodo non è un formatore ma, più correttamente, un facilitatore. La differenza sta nel fatto che, a parte illustrare le modalità di svolgimento delle attività, il facilitatore non insegna nulla: la sua si potrebbe dire che è un’azione maieutica (i contenuti, le esperienze e un certo grado di conoscenza non vengono trasmessi da chi facilita a chi partecipa, ma sono già “nascosti” all’interno del pensiero dei partecipanti). Questa la teoria, descritta in maniera molto spiccia. E la pratica?
Nella pratica abbiamo passato una giornata intera in maniera divertente facendo prevalere il nostro istinto (per quanto possibile) sulla nostra razionalità grazie proprio al fatto che le cose che volevamo far emergere venivano fuori attraverso quello che costruivamo con i vincoli e le modalità che i facilitatori mettevano. Abbiamo così rappresentato con i mattoncini ( e qualche figura) noi stessi, la nostra equipe ma anche le nostre visioni, i nostri desideri, le nostre aspettative più recondite. Per quello che posso dire mi è sembrato davvero incredibile constatare come, se abbiamo un vincolo di tempo e non possiamo razionalizzare, a fare le scelte sono le mani (l’istinto): scegliamo un mattoncino di un certo colore e lo posizioniamo in un certo modo nel tentativo di costruire una torre nel tempo prestabilito (di solito quello di una canzone). Ci sembra di aver fatto delle scelte casuali ma poi, a guardar bene… non è mai così! Le nostre dita non vanno a caso ma si affidano alle indicazioni di quella parte del cervello più emotiva che di solito, per paura, trascuriamo sempre.
La mia impressione è che da questa giornata abbiamo imparato molto. Personalmente mi ha aiutato a vedere gli altri colleghi di lavoro, che peraltro conosco da anni, con occhi diversi; a mia volta ho capito più chiaramente che immagine e che considerazione hanno gli altri di me. Ho visto, letteralmente, nelle costruzioni con cui abbiamo rappresentato il nostro team quello che siamo e quello che potremmo diventare. Ho trovato anche bello il fatto che abbiamo ragionato su noi stessi e sul nostro modo di lavorare e collaborare: sono convinto che qualsiasi organizzazione, anche una piccola come la nostra, prima di porsi degli obiettivi debba capire e conoscere le persone con cui lavora, si confronta e comunica imparando a farlo nel migliore dei modi.
Se mi chiedessero di trarre un consiglio da questa esperienza, risponderei con qualcosa che ho imparato. Quando pensiamo alla carriera professionale di solito, con più o meno ambizione, abbiamo spesso in mente risultati, obiettivi, realizzazioni personali; faremmo bene invece anche a preoccuparci dell’ambiente e delle persone in cui quei traguardi li raggiungeremo, perché le persone che ci circonderanno faranno parte e saranno il motore del nostro successo. Che, a me, piace più chiamare evoluzione.
PS: un grazie sincero e particolare da tutti noi va ad Antonella e Fausto, i nostri facilitatori Lego® Serious Play®
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