La voglia di lavorare non è una competenza

L’Informagiovani di Ancona da sempre si occupa di orientamento professionale. Questo significa, nella pratica quotidiana, offrire consigli (consulenza) a chi sta cercando un lavoro e, al contempo, individuare e promuovere opportunità di trovarlo (partendo dagli annunci di lavoro e da un servizio di banca dati).

In un modo meno pragmatico significa anche confrontarsi con il territorio (come si scriverebbe in un progetto): parlare, discutere e confrontarsi con molti ragazzi e ragazze che cercano lavoro ed anche con qualche imprenditore (o libero professionista) che stanno cercando “qualcuno”. “Cerco qualcuno che…” è la frase con cui, molto spesso soprattutto se si tratta di realtà aziendali piccole o piccolissime, inizia la richiesta di un collaboratore o collaboratrice, possibili e futuri dipendenti. Questo gergale incipit (che per gli addetti ai lavori sarebbe il “job title”, cioè la figura professionale) già di per sé racconta un certo modo (o cultura) di vedere il lavoro (molto artigianale, fondato sostanzialmente su una concezione piuttosto datata del rapporto di lavoro), è abbinato a una seconda parte molto presente in alcuni contesti: “ha voglia di lavorare”.

Cerco qualcuno che ha voglia di lavorare” come espressione di una specie di qualifica professionale onnicomprensiva è la frase che ascoltiamo con una certa frequenza da parte di chi ha un’opportunità di lavoro. Ma è anche un concetto che, fortunatamente con sempre minore incisione, è piuttosto presente anche in chi il lavoro lo sta cercando (quanti curriculum nella sezione delle competenze portano la dicitura “voglia di lavorare”!). Ma, svelo un segreto: la “voglia di lavorare” non è un competenza!

La determinazione, la capacità di focalizzarsi su un obiettivo, quella di raggiungere un risultato e di mettersi in gioco, la costanza: ecco queste possono essere competenze, ma non la “voglia di lavorare”. Questa è più che altro e tutt’al più una declinazione del nostro spirito o, forse anche meglio, un atteggiamento che possiamo avere rispetto al lavoro. E che potrebbe essere anche altalenante (per esempio personalmente spesso non ho voglia di lavorare, ma questo non mi impedisce di mettere energia e anche entusiasmo nei compiti previsti dal mio lavoro).

C’è anche un altro aspetto della voglia di lavorare che trovo poco costruttivo. Si tratta di una definizione talmente ampia, opinabile e sfuggente che non permette nemmeno di individuare con precisione quelle che dovrebbero essere le effettive competenze e conoscenze per svolgere quel lavoro. Il rischio che non ce ne siano e che quel lavoro sia (o risulti essere) del tutto squalificato e squalificante. La “voglia di lavorare” non è una competenza, lasciamola agli incompetenti.

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  1. […] Internet prima e i social media poi, hanno sicuramente arricchito le potenzialità del mercato del lavoro e aumentato anche le opportunità. Ma in questo tripudio di occasioni è diventato sempre più difficile riconoscere quelle che lo sono veramente da quelle che invece rappresentano solo una perdita di tempo se non una truffa. Forse qualcun* avrà sentito la parola (neologismo) “fuffaguru” che intende definire tutti quei soggetti che fanno della “fuffa” (chiacchiericcio e paccottiglia di varia natura) l’ingrediente principale della propria offerta: spesso (se non sempre) si tratta di non-lavori. Attività di formazione, creazione di imprese (sempre promettenti!), vendita facile, supporto alle imprese per le loro vendite, business (non meglio identificati) online, criptovalute. Quello che manca, sempre, è la competenza (sia posseduta che richiesta)  perchè, a quanto pare, non è ingrediente necessario: basta la voglia di fare (che, come abbiamo scritto, non è una competenza). […]

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