Internet delle cose

internet delle coseInternet delle cose“: questa espressione, un neologismo che nasce in realtà quasi 10 anni fa racconta un po’ il mondo attuale ed un po’ anche il futuro. Innanzitutto che cosa significa? Se qualcuno ancora non se fosse accorto internet non è soltanto un qualcosa che riguarda i computer e il loro modo di scambiare informazioni e portarci a conoscenza di un sacco di cose (come ad esempio dell’ultima offerta per le nostre sneaker preferite). Internet può interagire anche con altri oggetti, dare comandi a distanza, attivare apparecchiature e molto altro. Oggi è davvero possibile accendere il termosifone di casa dall’ufficio anche senza averlo programmato in precedenza; oppure farlo accendere automaticamente quando la temperatura esterna scende sotto ad un certo livello. In maniera più evoluta il frigorifero può ordinare lo yogurt quando si verificano le due condizioni della scorta in esaurimento e del prezzo in offerta al supermercato.

Questi esempi sono legati ad un settore come la domotica, ma l’utilizzo della rete può essere applicato a molti settori. Se solo pensate a quante cose potete fare oggi con uno smartphone, capirete che quella che abbiamo davanti è un’era completamente nuova e diversa rispetto a quelle che abbiamo vissuto. Facciamo questo paragone: se nell’epoca di Gutemberg l’occhio ha superato l’orecchio come organo sensoriale dominante nell’uomo, quale sorpasso dobbiamo aspettarci oggi? Se le nostre scarpe sono collegate a una applicazione in grado di dirci quanti passi facciamo, quante calorie consumiamo e a che ritmo va il nostro cuore, significa che il grado di coinvolgimento e di interazione che abbiamo con le scarpe non è solo legato alla comodità con cui ci camminiamo o corriamo. La trasformazione del nostro rapporto con le cose è la vera rivoluzione prossima ventura. Se volete provare alcune di queste meraviglie applicate anche a piccole cose potete provare Atooma, un’applicazione che connette internet acose ed azioni della vita quotidiana (con qualche sorpresa).

C’è poi un altro aspetto da considerare e riguarda la quantità e qualità di dati che in questo modo vengono acculati su di noi. Chi gestisce l’applicazione collegata a quella scarpa saprà di noi molte più cose di un tempo. la domanda è: come utilizzerà queste informazioni? Nella migliore delle ipotesi cercherà di darci consigli e suggerimenti per migliorare la nostra forma fisica oppure la nostra dieta; in una ipotesi un po’ meno raffinata potrà suggerirci di cambiare le scarpe un po’ prima della loro usura finale. Ma qui non ci sono ipotesi più o meno ottimistiche, ci sono in ballo altri fattori, come la privacy e la riservatezza della nostra vita quotidiana, della nostra intimità Chi entra così tanto nelle nostre vite private? E quali effetti può generare sulla nostra percezione dei confini tra pubblico e privato L’importante, almeno per ora, è esserne consapevoli.


Comunicazione: in occasione del prossimo ponte del primo maggio anche il nostro blog si ferma un po’: i post riprenderanno le loro regolari uscite tra una settimana, il prossimo 6 maggio. A voi tutti i migliori auguri di un buon 1° maggio e, agli anconetani buona festa del patrono e buona Fiera di San Ciriaco!

Fiera San Ciriaco

Trovare il lavoro che (non) ti piace

trovare lavoro che non ti piaceChi di noi sta facendo un lavoro (trattasi di attività professionale remunerata, meglio ricordarlo di questi tempi) si sente spesso già fortunato da non mettersi anche a sindacare o discutere sul fatto che il lavoro gli piaccia o meno. Questo almeno per i primi mesi. Poi iniziano ad aumentare le grane, le cose che non vanno, i soldi che non bastano, le opportunità di crescita e carriera che scarseggiano e via discorrendo. Come dice a volte il comico Bertolino, il lavoro è quella cosa che lottiamo allo sfinimento per avere e che poi quando abbiamo non vediamo l’ora di lasciare. Insomma, i sentimenti che ci legano la lavoro che facciamo sono mutevoli e contradditori.

Dal nostro canto abbiamo sempre sostenuto che fare un lavoro che ci piace è essenziale: 8 ore al giorno, 5 giorni alla settimana, 50 settimane all’anno (se ci va bene), per circa 35/40 anni (se ci va benissimo) sono un mucchio di tempo, ben oltre la metà della nostra vita adulta. Passare tutto questo tempo a fare un lavoro o svolgere una mansione che non ci piace può avere conseguenze pesanti anche sugli aspetti non professionali della nostra vita. La soluzione migliore sarebbe quella di scegliere un lavoro che ci piace, ma non sempre è possibile (anche se attuare una corretta strategia nella ricerca del lavoro può essere determinante in questo senso). Cosa fare allora se rimaniamo “incastrati” in un lavoro che non ci piace?

In nostro soccorso viene l’autrice di un libro che si propone di offrire consigli e suggerimenti per una carriera ed una vita professionale (il titolo in inglese è “Love your job: the new rules for career happiness” e lo ha scritto Kerry Hannon, giornalista statunitense. La giornalista oltre alle soluzioni più immediate che vanno dalla ricerca di un nuovo lavoro alla richiesta di aumento della retribuzione (che non è in realtà la vera causa del nostro malessere), propone anche delle ricette pratiche per fare “pace con il proprio lavoro”. In primo luogo eliminare il superfluo: il disordine, il caos, le situazioni in stand-by, le liste di cose da fare, le urgenze e tutto ciò che “inquina” il normale scorrimento di una giornata lavorativa può essere considerato disordine (così come quello della scrivania). Per ritrovare l’armonia come prima cosa bisogna fare ordine. Aiutare gli altri ci aiuta a fare pace con noi stessi, a toglierci di dosso i pensieri negativi e a diventare consapevoli dei bisogni delle altre persone: per questo potrebbe essere utile fare del volontariato, dedicarsi ad attività extralavorative che rappresentino un contributo alla collettività. Crescere solitamente è un buon modo per tornare ad apprezzare le cose che si stanno facendo: per questo può essere utile investire (anche tempo proprio) nella formazione e nello sviluppo delle proprie competenze, anche senza un preciso sviluppo professionale già come obiettivo. Mantenere un clima lavorativo sereno e delle buone relazioni con i colleghi è un buon modo per ritrovare il giusto equilibrio all’interno della propria sfera lavorativa.

Se il lavoro che stiamo facendo (o l’ambiente che stiamo frequentando) non ci piace ma non possiamo lasciarlo, dobbiamo essere abbastanza intelligenti e creativi per ritrovare il nostro giusto comfort.

Nuove professioni crescono

professione-ebookA volte le nuove professioni nascono senza che ce ne accorgiamo. O, meglio, non nascono esattamente come nuove professioni, nascono come “altre cose”, idee e sviluppi che pi portano anche alla nascita di nuove professioni. Parlando di tecnologie non è che il social media manager sia nato una mattina per invenzione di qualcuno o perché un’università ha deciso ad un certo punto di creare una laurea per definire questa professione. Più semplicemente e più coerentemente sono nati i social media, sono cambiate le modalità di comunicazione, si sono intensificate relazioni e modalità di gestirle e a un certo punto c’è stato bisogno di qualcuno che lo facesse di professione. Per guardare alla professione che potremo fare in futuro oggi non possiamo più aspettare annunci di lavoro, richieste più o meno strabilianti delle aziende, attivazione di fantasiosi corsi di formazione. No, niente di tutto questo. quello che dovremmo imparare a fare è guardare alla società e al contesto in cui viviamo e chiederci: cosa potrebbe essere utile? Quali sono i bisogni espressi? Quale competenze possono risolverli? Non si tratta di predire il futuro, ma di saper analizzare il presente.

Probabilmente è quello che hanno fatto i nostri amici di Pepelab quando hanno pensato di creare un percorso formativo intitolatoProfessione e-book: come vedete non hanno inventato nessuna professione, sono andati diretti alla sostanza. Innanzitutto una premessa che forse non è necessaria ma tant’è. Gli e-book tutti sanno cosa sono, ma forse non tutti sono consapevoli del fatto che non si tratta di un mercato che riguarda solo “quelli che vogliono farsi il libro da soli”. Attorno all’editoria digitale ruota un mondo complesso frequentato da editori, grafici, addetti marketing, informatici, software, distribuzione, logistica ed anche di scrittori (ci mancherebbe!).

Come forse qualcuno avrà letto il mercato degli e-book è in crescita: secondo il rapporto dell’Associazione Italiana Editori del 2014 il mercato del libro digitale ha registrato lo scorso anno un incremento del 40%. Un dato ancor più rilevante se si pensa che la stessa analisi riporta invece un calo dei lettori in Italia. Insomma, si tratta diun mondo da esplorare ed è per questo, forse, che il percorso ideato da Pepelab potrebbe attirare l’attenzione di quanti lo vogliono scoprire e approfondirne segreti e caratteristiche.

Professione e-book è un percorso che si sviluppa in 3 week end che sono al contempo 3 moduli e 3 workshop. Su 3 tematiche differenti. Il primo modulo è introduttivo e servirà a conoscere il mondo dell’ebook: “non daremo nulla per scontato e ti accompagneremo per mano alla scoperta degli aspetti più importanti: le tecnologie, i formati, gli standard, le opportunità del mercato. Valuteremo quali canali utilizzare per pubblicare il tuo ebook, come metterlo in vendita negli store digitali e inizieremo a conoscere le strategie per renderlo più visibile e promuoverlo al meglio”. Il secondo modulo entrerà nel vivo della questione affrontando la realizzazione pratica di un testo digitale: “come è fatto un ebook “sotto il cofano”, qual è la sua struttura e quali sono gli aspetti e le specifiche tecniche da tenere presenti nella sua progettazione. Prenderemo inoltre familiarità con alcuni tra i software più conosciuti e utilizzati per la produzione di ebook. Insomma, ci sporcheremo le mani lavorando nella nostra “officina dell’ebook”!“. Il terzo ed ultimo modulo è rappresentato da 3 differenti workshop dedicati al self publishing, all’ebook e fumetto, all’ebook e fotografia. A fine corso ci ritroveremo insieme per un focus dedicato a promozione e visibilità.

Questo percorso è dedicato a chi ha deciso di non stare ad aspettare che nasca una nuova professione ma vuole nascere insieme a lei. Per conoscere modalità di iscrizione, promozioni in corso (eh già, ci sono sconti e offerte), tempi ed avere altre informazioni vi consigliamo di contattare Pepelab: dite che vi mandiamo noi 😉

Ottimismo, con prudenza

Businessman helps statisticAd inizio 2015 è arrivata finalmente la notizia positiva: i contratti a tempo indeterminato sono in aumento! Merito chiaramente della nuova contrattualistica del lavoro che permette maggiore flessibilità ai datori di lavoro nell’eventuale recessione anche da un contratto senza scadenza. Nonostante questo i dati sulla disoccupazione continuano a non essere positivi: il tasso è salito di nuovo al 12,7% “bruciando” di fatto anche i deboli miglioramenti precedenti. Ora la domanda sorge spontanea: sul versante lavoro dobbiamo cominciare ad essere ottimisti o sono tutte chiacchiere?

Per rispondere in una maniera che non sia banale o ideologica, ci siamo affidati a questo articolo apparso su Lavoce.info sito di informazione economica e non solo. Andando con ordine: i dati Istat, quelli che informano sulla disoccupazione, raccontano di una sorta di andamento sussultorio durante gli ultimi mesi (a settembre 102mila occupati in più, a ottobre 35mila in meno, a novembre altri 61mila in meno, poi a dicembre di nuovo 42mila in più, a gennaio aumento di altri 7mila, infine a febbraio calo di 44mila). La questione è che i dati ISTAT vanno letti sul lungo periodo e queste variazioni di mese in mese non hanno molto senso anche perché sono in parte collegate a quello che può essere considerato un errore di carattere statistico (la rilevazione, seppur fatta in maniera rigorosa, è sempre l’analisi di un campione). L’aumento dei contratti a tempo determinato non è invece una rilevazione statistica, ma un computo numerico che attesta un aumento dei contratti a tempo indeterminato rispetto all’anno precedente nello stesso periodo.

Ora si tratta di capire se l’aumento dei contratti rappresenta anche un aumento delle posizioni e dei posti di lavoro: perché alcuni di questi contratti potrebbero essere trasformazioni di contratti precedenti con scadenza (in quei casi il posto di lavoro è sempre lo stesso, non c’è creazione di nuovi posti di lavoro). Inoltre bisogna considerare se alla crescita dei contratti a tempo indeterminato non corrisponda anche una crescita delle cessazioni: in altre parole se e quanti licenziamenti o fine contratto ci sono in corrispondenza dell’aumento degli indeterminati, in quel caso il saldo dei posti di lavoro potrebbe essere nullo od anche negativo (se aumentano di 100 i contratti di lavoro a tempo indeterminato e al contempo si verificano 120 cessazioni i posti di lavoro sono 20 in meno). Su questo punto Lavoce scrive “I dati disponibili per il Veneto attestano chiaramente che nel primo trimestre 2015 gli ingressi nella condizione di occupato a tempo indeterminato hanno sopravanzato le uscite; i dati nazionali, pur limitati al primo bimestre, convalidano un bilancio analogo. Non solo: il saldo 2015 risulta nettamente più positivo del corrispondente 2014 e perciò comporta il netto miglioramento della dinamica dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato anche su base annua. Certo, non è ancora sufficiente a riportare il saldo annuale su valori positivi: per conseguire questo risultato occorre che il trend innescato nel primo trimestre 2015 continui per almeno altri cinque-sei mesi“.

Dunque, per tornare alla domanda iniziale, c’è da stare allegri o no? In sostanza l’incremento dei contratti a tempo indeterminato rappresenta un primo segnale di miglioramento dell’intero mercato del lavoro anche se da solo non è sufficiente per dire che siamo sulla buona strada e, soprattutto, allo stato attuale dei fatti, ha prodotto risultati che su base annua sono ancora troppo deboli. L’altra notizia positiva è che in generale un numero maggiore di assunti non ha comportato la perdita di posti di lavoro anche se i dati rispetto a contratti diversi da quello indeterminato non sono positivi.  Due sono le cose che sicuramente possiamo affermare senza tema di smentita: “sicura crescita, nel 2015, delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato e la sostanziale stabilità nell’ultimo semestre, al netto di oscillazioni mensili che non meritano attenzione, degli occupati totali. In altre parole: ottimismo, con prudenza.

La voce del popolo (del web)

bufaleC’è un tema sotteso a tutto quello che scorre sul web: il tema delle bufale (e non stiamo parlando dei simpatici animali da cui derivano i famosi latticini). Le bufale sono le notizie parzialmente o totalmente false che vengono spacciate come vere: perché? Ma la domanda vera è: perché ci crediamo? I motivi principali sono due. Il primo è che crediamo a quello che ci fa più piacere o comodo o ci gratifica; oppure ci piace perché è una notizia “bomba” o sensazionale e straordinaria. In questi casi la nostra parte emozionale prende il sopravvento ed in qualche caso ci fa andare avanti per “economia”: è più facile e meno faticoso credere a quello che istintivamente, per ricordi passati, per sensazioni archiviate mi sembra corretto e plausibile, piuttosto che metterlo in discussione, fare una ricerca, verificare se quello che ho sentito o letto proviene da una fonte attendibile.

E arriviamo al secondo  motivo: spesso quando ci arrivano le informazioni, non controlliamo le fonti. E, sempre di più, non ci facciamo domande sulla plausibilità di certe affermazioni o sulla reale possibilità che certi fatti siano accaduti. Complice una realtà sempre più “variegata” e un flusso di notizie così grande e proveniente da tutto il mondo, siamo portati a considerare quello che leggiamo sempre con lo stesso metro di giudizio e sempre con la stessa propensione a pensare che sia vero, autentico, reale. A volte per formulare un giudizio meno aderente e in simbiosi con quel che leggiamo ci servirebbero più informazioni o maggiori competenze altrimenti rischiamo di non capire appieno quello di cui si discute. Altre volte servirebbe e sarebbe sufficiente invece un po’ di logica ed un minimo di buon senso (qualche tempo un ministro dell’università si complimentò con chi aveva costruito un tunnel di centinaia di chilometri per far viaggiare delle particelle atomiche: chissà se in quel caso fu mancanza di informazioni o di buon senso).

C’è infine un altro grande tema legato alla circolazione delle informazioni e più in generale alla possibilità che hanno certe opinioni di circolare. Uno studio recente sulle competenze umane ha portato alla luce un comportamento singolare e al contempo abbastanza mortificante per certi versi. In questo articolo di Wired viene riportata la ricerca fatta sulla credibilità che assegniamo anche a chi non è competente in una certa materia. Succede che “anche per i più razionali di noi, è difficile ignorare l’appassionato parere dei propri contatti su qualunque questione, anche quando siamo perfettamente consapevoli che non possiedono le basi per esprimere un parere specialistico“. Ad esempio in caso di un piccolo malanno o di un infortunio a chi non è capitato di chiedere lumi ad un amico che ha passato la stessa sorte? E chi di noi non ha poi magari seguito le stesse indicazioni terapeutiche? O scelto lo stesso percorso curativo? Quanti di noi, ancora più irrazionalmente, ricercano su Google i sintomi che provano? Sono tutti casi in cui ci affidiamo ad informazioni e “consulenze” evidentemente non competenti.

A questo comportamento i ricercatori hanno dato una spiegazione: “questo difetto cognitivo sarebbe in molte condizioni vantaggioso perché permetterebbe di portare a termine un lavoro di gruppo più in fretta e sviluppando meno stress. La condizione è però che tutti i membri del gruppo, anche se con prestazioni variabili, siano comunque di competenze paragonabili rispetto al compito che devono svolgere insieme. Se invece le competenze sono molto diverse, allora il gruppo può essere trascinato in decisioni che sono in grado di danneggiare tutti“.

Un vecchio adagio recitava: “prima di parlare contafino a 10”. Potremmo trasformarlo in “prima di diffondere, conta fino a 10”.

Lavoro: prima persona singolare, tempo futuro

Orientamento_ISTAO_RSQuando si parla di futuro ci si aspetta sempre delle previsioni: possibilmente vere, rassicuranti, ottimistiche. Ma parlare di futuro significa anche mettersi nell’ordine di idee di poterlo programmare, determinare, realizzare con le proprie forse e le proprie competenze. Ma la questione è che per fare questi passi (programmare, determinare, realizzare) una domanda rimane in sospeso: dove? Da che parte si va? Ecco, l’orientamento professionale (quello realizzato da professionisti e da servizi appositi) cerca di dare questa risposta. Le attività di orientamento però non sono come le agenzie di viaggio che alla domanda “dove?” sono sicuramente sempre pronte a rispondere con mete entusiasmanti. L’orientamento per rispondere alla domanda “dove?” parte sempre da un’analisi della persona che fa la domanda. In primo luogo perché, e questo vale anche per i viaggi, ciascuno di noi può avere una meta diversa, anche se parte con condizioni simili. In secondo luogo perché le condizioni in realtà si chiamano competenze ed è molto importante che ciascuno di noi sia consapevole delle proprie. In terzo luogo perché la “meta” è un obiettivo e per arrivarci serve necessariamente farlo proprio.

Abbiamo dato un titolo a questo post che riporta “prima persona, singolare” proprio perché l’orientamento è un’attività che possiamo fare anche in gruppo ma che ciascuno di noi affronta in maniera del tutto personale. Le attività di orientamento hanno l’obiettivo di aiutare le persone a costruire percorsi pienamente soddisfacenti in ambito formativo e professionale ed è er questo che ciascuno ha bisogno del proprio percorso di orientamento. L’altra questione è quella delle competenze. “Con questo termine si intende valorizzare quello che una persona sa fare, indipendentemente da come lo ha imparato. Si valorizza cioè l’apprendimento non formale in contrapposizione ad esempio a diploma, laurea, qualifica ottenuta attraverso un corso di studi. In questo accezione il termine ‘competenza’ (usato sempre al singolare) indica ‘quella generica qualità, non meglio specificata, posseduta una persona che si dimostra competente” (orientmaento.it). Su questo punto in Italia facciamo molta fatica a fare progressi: c’è una cultura diffusa e radicata che confonde sempre i titoli con le competenze (con casi sempre più frequenti di evidente differenza tra le due cose). Nel linguaggio e nella pratica comune, ad esempio, l’utilizzo del suffisso “dott.” regala al nome che segue una serie di competenze e attributi che sono in realtà tutti da verificare. Anche nei percorsi professionali (e, ahinoi, in quelli formativi) si tende a confondere l’acquisizione del titolo con l’acquisizione delle competenze: se è vero che una volta laureati, per esempio, si sono acquisite una serie di competenze specifiche nella materia, è altrettanto vero che poi la mancata pratica delle stesse o una loro utilizzazione in un campo diverso possono trasformare molto lo standard previsto dal titolo acquisito. Ad esempio una persona laureata in economia può essersi occupata poi di marketing, finanza, fisco o gestione di impresa canalizzando le proprie competenze in un settore o in un altro (e probabilmente chi si è occupato di marketing farà fatica quanto noi a compilare una dichiarazione dei redditi).

L’ultimo (ma solo in ordine di apparizione in questo post) aspetto è quello che riguarda gli obiettivi. Torniamo all’esempio dei viaggi: ammesso che qualcuno di voi abbia già tutto il necessario per viaggiare (soldi, auto, ferie, disponibilità che nella nostra metafora sono le competenze) come fa a scegliere la meta? O le mete? Scegliete quella più vicina o quella più lontana? Quella che implica un viaggio più faticoso e avventuroso o quella più facile da raggiungere? Scegliete di arrivarci subito o vi avvicinate per gradi? Queste sono le stesse domande che si potrebbero fare a chi, anziché un viaggio, sta programmando un percorso professionale ed è alla ricerca dei propri obiettivi. Se ne fa un gran parlare ma non capita spesso che qualcuno ti dica che cosa è un obiettivo e che caratteristiche deve avere. Per rispondere a quest’ultima questione ed anche alle altre di questo post ci vediamo venerdì 17 aprile alle 17 (data e orario parlano della nostra totale mancanza di scaramanzia): con ISTAO parleremo di orientamento, competenze, obiettivi e futuro al seminario gratuito che abbiamo chiamato “In me non c’è che futuro“. Vi aspettiamo!

Ancona crea

Ancona CreaDal 12 al 19 aprile Ancona sarà coinvolta e sorpresa da una “folla” di artisti che arrivano o tornano in città. La settimana dedicata all’arte ad Ancona si chiama Ancona Crea e nasce con l’intento di mettere in mostra un tesoro. Il tesoro sono i giovani artisti che incontriamo ogni giorno in strada, e artisti di Ancona che oggi vivono della loro arte a Londra, Parigi, Milano, Firenze, Bologna, Berlino, Rio e mille altri luoghi del mondo. L’idea è semplice: trasformare la città attraverso l’energia, il colore, il suono, l’intervento creativo; mettere in contatto il quotidiano con l’insolito, il negozio con la scultura, lo spazio urbano con la performance.

Ancona Crea non è una mostra ma un “allestimento” che coinvolgerà tutta la città con esposizioni, performance, incontri, conferenze, laboratori, street art e installazioni urbane nel centro della città. Il programma è ricco e l’intento è quello di trasformare Ancona per una settimana in una sorta di città delle meraviglie in cui ogni angolo racconta una storia in maniera creativa e coinvolgente.

Le iniziative sono divise in quelli che potremmo chiamare temi o percorsi: la sezione urbana e vetrine, con allestimenti che coinvolgeranno spazi della città (anche il nostro Informagiovani) e negozi del centro,  le installazioni e performance live con il titolo GINOLIMMORTALE, la riscoperta di un luogo della città in semi abbandono a cui viene restituita vita grazie all’arte (ImmobilArte alla Galleria Dorica), le esposizioni e i laboratori di GUS dedicati ad una artigianalità creativa ed attiva, la danza dal vivo in piazza di Hexperimenta, la mostra “Nel regno delle piante” un’opera illustrata tessile prodotta in sole 30 copie realizzata interamente a mano, ispirato al tema delle piante e della natura, il gioco letterario tra curiosità e lettura di pagine scelte dell’Associazione Leggio (potete scaricare il pieghevole con tutto il programma e la mappa dei luoghi di Ancona Crea)

Protagonista sarà anche il nostro Informagiovani che da domenica ospiterà la mostra fotografica di Ronnj Medini. La sua fotografia è diretta e fulminante, senza mai cadere nell’immagine facile impatto emotivo. Le luci ed i contrasti, a volte, sono esasperati, uscendo così dagli schemi della foto perfetta. Una sorta di rotture delle convenzioni tra fotografo e soggetto. Le sue prospettive raggiungono l’infinito, come due specchi che si riflettono a vicenda, diventando inafferrabili e irraggiungibili e lasciando a chi guarda la voglia di scoprire cosa si nasconde in quell’immagine.

Ronnj Medini predilige le foto di strada e su questo tema saranno anche le foto esposte all’Informagiovani dal 12 al 19 aprile (domenica 12 aprile alle 17 l’inaugurazione). Siamo felici di ospitare ed abbellire la nostra sala con le foto di Ronnj perché anche noi pensiamo che l’arte non debba essere circoscritta a pochi e relegata in luoghi esclusivi o nascosti; ma è bene che entri in luoghi, spazi e tempi comuni a molti perché tutti (o quasi) possano rimanerne contagiati in qualche modo, anche solo lanciando uno sguardo.

Ancona Crea è una dichiarazione d’amore dell’arte nei confronti della città e della città nei confronti dei tantissimi artisti che le sono cresciuti dentro e che ne rappresentano il tesoro più vivace. Vi aspettiamo!

Comunicare al pubblico: a tutto streaming!

comunicare in pubblicoOggigiorno siamo chiamati ad essere sempre costantemente molto “comunicativi”: un post su Facebook, un tweet di aggiornamento, i gruppi e le chat su WhatsApp sono tutti modi con i quali ci rivolgiamo ad un pubblico, più o meno vasto. Quanto è efficace una comunicazione veloce, istantanea, virale? Dipende chiaramente dall’obiettivo ma il rischio di misunderstanding è piuttosto alto. Così come la possibilità di far circolare false informazioni, comunicazioni errate, notizie vecchie.  Oggi vi proponiamo, per estratti, alcune idee già scritte in un post di questo blog.

Al di là di quello che  può essere un giudizio etico-professionale su chi diffonde false o artefatte informazioni (di cui oggi non parliamo), c’è una questione che riguarda l’efficacia e la tempestività della comunicazione e di come questa possa essere distribuita in maniera veloce anche da chi, più o meno consapevolmente, non fa alcuna verifica delle fonti. O, se lo fa, si basa su fattori che ne determinano la qualità in maniera “originale”. Faccio un esempio. Quando ho fatto notare, nell’ennesima bacheca di Facebook, che la notizia sulle condizioni in cui versa la Grecia non fosse proprio attendibile mi è stato risposto che era stata postata perché apparsa in siti più o meno appariscenti. Ecco mi ha colpito la parola “appariscenti”.

La riflessione che voglio fare qui è quindi su come la visibilità possa condizionare la percezione che abbiamo dei contenuti veicolati. Se come dice l’amico Paolo Manocchi, “l’abito in realtà fa il monaco”, accade anche che la “veste” che viene data ad un certo tipo di comunicazione ne determini non solo il successo (in termini di raggiungimento di pubblico, come evidentemente avviene e deve avvenire nei meccanismi pubblicitari) ma anche l’attendibilità e la conseguente propagazione virale. Questo meccanismo è alla base del marketing sui social media e funziona anche perché trova, spesso, un pubblico facilmente influenzabile con la forma e meno attento ai contenuti. Si tratta di una manifestazione differente di quella che gli americani chiamano teeth-spinach-effect: ad un congresso anche il più bravo e preparato relatore se parla con uno spinacio fra i denti sortirà l’effetto non voluto di essere ricordato, dalla maggior parte dei presenti, per questa simpatica anomalia dentale e non per quello che ha detto.

Il punto è che, soprattutto nella comunicazione web, il teeth-spinach-effect potrebbe anche non essere un inconveniente, un errore, una sbadataggine, un effetto non voluto. La “distrazione” (se così la si vuole chiamare) è tanto più sottile, nascosta, irriconoscibile come tale tanto più la comunicazione è veloce ed immediata. Come tante altre è una tecnica non nuova per i professionisti della comunicazione a cui non bisogna dare una connotazione negativa (dipende essenzialmente con che obiettivi viene utilizzata): come spesso accade spesso la consapevolezza è la migliore delle medicine. L’importante, infatti, è guardarsi allo specchio prima di parlare e decidere: magari può anche capitare di non avere granché da dire ed in quei casi magari una foglia di spinacio può avere più successo di mille parole.”

Chiaro? Quindi, quante cose interessanti da dire abbiamo e quanto invece solleviamo polvere e fuffa per dire pressoché nulla? Qualche giorno fa è apparso all’orizzonte un altro simpatico giochino digitale: si chiama Periscope, si può utilizzare al momento solo su dispositivi IOS (Apple) e praticamente fa diventare ciascuno di noi una piccola emittente televisiva. Qualcuno ha già osservato che forse qualche “trasmissione” possiamo anche risparmiarcela: voi che ne pensate?

Sorpresa! A cosa serve?

Motorcycle DetailsTra qualche ora molti di noi probabilmente, come da tradizione, scarteranno e poi romperanno con una certa bramosia l’uovo pasquale alla ricerca della sorpresa. Qualcosa di nascosto che però sappiamo ci farà piacere trovare all’improvviso. Anche se sarà una stupidaggine o una cosa poco utile: all’inizio il gusto sta solo nel vedere che c’è, nella curiosità. Questa piccola o altre grandi sorprese che funzione hanno nella nostra esperienza? Sono utili, funzionali a qualcosa o semplicemente è un modo per tenere allegro il clima?

In realtà che ci piacciano o meno le sorprese hanno un effetto sulle nostre emozioni, sui nostri comportamenti e sulle nostre reazioni chiaramente. E chi le fa lo sa bene. Le sorprese sono uno dei principali attivatori del nostro interesse. Scrive Annamaria Testa nel suo sempre interessante blog Nuove&Utile:L’interesse che proviamo non solo diversifica la nostra esperienza, ma ci aiuta anche a metterla a fuoco e, poi, a farla nostra. L’interesse è sempre associato a emozioni positive, predispone a prestare attenzione, a pensare in modo più strutturato e approfondito, a lasciarsi coinvolgere“. Sono due le parole chiave in questa frase: la prima è “emozione” e la seconda è “coinvolgere”.

Quello che ci accade è che quando ad una esperienza (visiva, auditiva, olfattiva o tutte queste cose messe insieme) associamo un’emozione, quell’esperienza viene evidenziata dal nostro cervello e messa in un posto privilegiato della nostra memoria. Questo è il trucco che utilizza la pubblicità che ormai da anni non è più fatta secondo lo schema “guarda-il-prodotto|compra-il-prodotto” ma è sempre più concentrata nella ricerca di un’emozione da far provare a chi la guarda in modo che l’emozioni faccia il resto nel nsotro cervello e quando siamo al supermercato saremo, quasi inconsciamente, portati a ricordarci e scegliere il prodotto che ci ha emozionato (per esempio come nella pubblicità di Wind, apparsa solo online).

In quanto a coinvolgimento ci sarebbe da scrivere parecchio. Ma diciamo che il motore del coinvolgimento è la curiosità che segue o va di pari passo con l’emozione che proviamo nel vedere certi contenuti o provare certe esperienze. Come quando apriamo l’uovo, anche quando ciò che abbiamo davanti è inaspettato, nuovo e potenzialmente emozionante siamo portati ad interagire in maniera costante e continua. Come si mantiene l’interesse? Scrive sempre la Testa: “Offrendo feedback positivi e aiutando le persone a diventare intimamente consapevoli del fatto che il loro impegno ha procurato (sta procurando, procurerà) dei risultati. Calibrando in modo progressivo la difficoltà, man mano che crescono competenze e conoscenza. Alimentando la curiosità attraverso la varietà degli stimoli offerti, e aggiungendo una componente di sfida, di imprevisto, di mistero o di sorpresa“. Ecco che ci siamo arrivati a scoprire a cosa servono le sorprese.

Possiamo utilizzare queste leve (emozione, coinvolgimento, sorpresa) anche quando tocca a noi stare dalla parte di chi confeziona l'”uovo pasquale”. Per esempio potremmo trattare come tale anche il nostro cv o una nostra presentazione che, per suscitare l’interesse di chi lo leggerà, dovrà essere in grado di attivare un’attenzione simile a quella che abbiamo quando scartiamo l’uovo alla ricerca delle soprese. Nel frattempo noi vi facciamo gli auguri di una buona Pasqua piena di sorprese!

Informazione di servizio: l’Informagiovani rimane chiuso lunedì 6 aprile, torniamo il 7

La mia Georgia

Forse non tutti sanno che… c’è uno spazio in questo spazio web anche per voi. Abbiamo dedicato una pagina alla collaborazione con voi lettori e qualche volta c’è chi se ne “approfitta” con nostro grande piacere. Questa volta tocca ad AIESEC che ci ha mandato la storia di Angelica.

georgiaCredo che la mia esperienza in Georgia non possa essere descritta con una sola parola, né una fotografia potrebbe in un click riassumere la mia estate in un paese di cui, ahimè, sappiamo ben poco. Ma l’esperienza AIESEC regala proprio questo, fortunatamente: permette di conoscere e vivere in prima persona un’altra cultura e regala esperienze di vita indimenticabili che nessun viaggio studio o vacanza fanno vivere.

Il progetto per cui lavoravo consisteva in diverse lezioni di inglese elementare per bambini e sessioni sugli argomenti più svariati per i ragazzi più grandi dell’ orfanotrofio SOS Villaggi dei Bambini di Tbilisi, la capitale. Io e l’altra stagista con cui lavoravo abbiamo trascorso con loro momenti di svago e altri di riflessione per parlare spesso di una vita incerta e di un futuro che per loro sarebbe stato difficile, ma non per questo buio. Perché la Georgia è un paese variegato e contraddittorio. Non è né Asia, né Europa; né ricca, né povera; né moderna, né tradizionale. Ammetto di aver avuto momenti difficili, ma grazie a ciò ho imparato a riconoscere il mio intuito che solo seguendolo saggiamente mi ha guidato nelle mie scelte.

Ho imparato ad essere più intraprendente; ho imparato a stringere facilmente amicizia con chi, chissà, forse non incontrerò mai più per via della lontananza, ma ho imparato però che al momento della partenza non bisogna mai dirsi addio, ma bensì “ci vediamo alla prossima”, perché nessun addio è per sempre. Ho trascorso diversi weekend nell’ Imerezia, antico regno della Colchide, famosa per il vello d’oro che Giasone conquistò per diventare re. Durante il viaggio nel minibus mi chiedevo più volte se avessi anch’io conquistato qualcosa, un po’ come Giasone. Ebbene sì, è successo.

Ho ritrovato le mie amiche, quattro meravigliose ragazze che ho riabbracciato dopo il nostro “arrivederci” in Italia. Perché loro, esattamente come me, grazie al programma AIESEC, erano partite per conoscere il nostro bel Paese, e proprio grazie all’associazione ho potuto rincontrarle. Sono queste le esperienze che solo un viaggio del genere può regalare; il viaggio alla ricerca della vera ricchezza, quella nel cuore. Non credo che serva aspettare il momento giusto (che poi non sembra arrivare mai) per partire e scoprire nuovi luoghi: a volte basta solo dire “perché no?” e mettersi in moto. E alla fine scopriremo che quei luoghi che credevamo impraticabili o così troppo lontani, una volta raggiunti e conquistati, diventeranno una parte di noi. E capiremo che erano solo le nostre paure così lontane e impraticabili da conquistare. Nel mio cuore porterò sempre con me delle immagini e delle emozioni che non potranno essere duplicate in nessun modo.

მადლობა! Grazie!