A cosa serve la tecnologia?

Come utilizziamo la tecnologia che abbiamo a disposizione? Personalmente credo di abusarne. La cosa dipende dal fatto che sono appassionato di oggetti tecnologici e di come questi riescano a semplificare cose semplici. Ammetto però anche che non sempre è così. Qualche volta accade che sono affascinato dalle “magie” che un oggetto tecnologico riesce a fare: pagare avvicinando lo schermo dello smartphone, trovare un’automobile nelle vicinanze da utilizzare al volo (come è permesso dai servizi di car sharing nelle grandi città), misurare il benessere fisico attraverso un semplice braccialetto di gomma. Queste tecnologie a volte alternano l’utilità pratica alla spettacolarità con la quale la raggiungono e questo mi (ci, immagino) conquista!

La tecnologia serve a migliorarci la vita nella maggior parte dei casi, ma siccome è parecchio connessa con meccanismi di marketing a volte scivola nel lezioso. E quindi nel poco utile. La domanda “A cosa serve la tecnologia?” messa a titolo di questo post l’ho presa da un articolo apparso su The Atlantic e ripreso nel numero 1278 di Internazionale. Nell’articolo si paventa l’ipotesi che un giorno tutti avremo un microchip impiantato sottopelle perché questa è la “naturale” evoluzione di quello che sta accadendo. D’altra parte la tendenza a modificare, in maniera più o meno incisiva, il nostro corpo l’abbiamo sempre avuta: pacemaker, protesi, stimolatori interni e anche le semplici lenti a contatto sono tutti strumenti tecnologici con i quali abbiamo accettato di modificare il nostro corpo perché ci sembrava potesse essere utile (se non addirittura vitale). Finora la maggior parte delle persone non ha un microchip sottopelle perché ancora non ci sono sufficienti motivi di utilità per averlo. Ma se le aziende che li costruiscono li trovassero?

Forse non sarà un trucco delle aziende che li producono a farci accettare un livello di tecnologia ancora più invasivo di quanto non sia lo smartphone attuale, ma la nostra graduale routine che renderà familiari oggetti che ci sembrano alieni. Questi scenari futuristici (nemmeno troppo, stiamo parlando di tecnologie che sono in campo da quasi 20 anni) dovrebbero farci però riflettere anche sull’attuale utilizzo della tecnologia, anche quella che ci risulta più facile. Non possiamo più cambiare il fatto che per prenotare un aereo bastano pochi clic sull’applicazione della compagnia che abbiamo nello smartphone (e possiamo farlo in ogni istante!), però magari possiamo evitare di consultare il nostro amico digitale ogni volta che abbiamo una curiosità, un’incertezza, un’esitazione o semplicemente non sappiamo cosa fare. La domanda è: in questi momenti la tecnologia ci serve davvero a qualcosa? Stiamo rendendo la nostra vita quotidiana più semplice e, vorrei dire più felice, o magari siamo vittime di un automatismo inconsapevole? Nel secondo caso magari può essere utile provare a imporsi abitudini diverse: avere il microchip sottopelle è davvero molto più bello se nel frattempo avremo guadagnato in consapevolezza. Dal mio punto di vista la consapevolezza ci aiuta anche a utilizzare meglio gli strumenti che abbiamo, a trarne il maggior vantaggio e scegliere quelle che ci sono utili scartando quelle che non ci servono (con buona pace delle mode passeggere o delle tendenze).

BeSmart! Perchè lo abbiamo fatto

Anche qualche giorno fa confrontandomi con due persone che si occupano di selezione e formazione del personale è uscita questa cosa: “il problema non è che i ragazzi non sono preparati, la questione è che non sembrano essere in grado di inserirsi in un contesto diverso da quello scolastico”. C’è un libro, l’ultimo di Baricco, di cui ho letto soltanto una parte riportata da Luca Sofri su ilPost in cui, ahimè, si afferma che “la scuola così com’è appartiene a un’altra era“. Potrei aggiungere che forse anche il mondo accademico, così com’è, appartiene a un’altra epoca.

Non voglio qui fare una critica alla scuola e all’università, soprattutto se la critica fosse letta poi come la volontà di disfarsi e liberarsi di queste istituzioni. In realtà credo che, al contrario, come dimostrano anche alcuni dati, nel nostro Paese è urgente un investimento nella formazione e nello sviluppo della cultura (qui un infervorato articolo sulla questione). Però è anche vero che molti dei ragazzi e delle ragazze che incontriamo, anche quando si vede o dimostrano di essere molto preparati su competenze tecniche, hanno evidenti difficoltà in ambiti che non siano quello che hanno studiato. Come si comunica in pubblico, come si gestisce una relazione con gli altri, come si rimane concentrati su di un obiettivo, come si gestiscono crisi e cose che non vanno come previsto: su queste ed altre abilità, tendenzialmente, molti sono impreparati. Il nostro sistema formativo non ha spazi, al momento, di approfondimento di questi aspetti se non in maniera in formale o, come spesso accade, rimandata alla buona volontà del singolo docente (e magari ce ne fossero di più!).

Tutto ciò che non si impara a scuola è rimandato alla famiglia (che non può però essere onnisciente) o all’autonomia del singolo. Per cui magari qualche elemento di team building lo apprendi se pratichi uno sport di squadra, qualche elemento di comunicazione se sei appassionato di teatro, alcuni flash di problem solving se partecipi alle attività scout della tua città. Chiaramente puoi evitare tutte queste situazioni e provare a cavartela con la scuola della strada: può andare bene oppure no. Credo però che nel 2018 potremmo avere altre opportunità o, meglio, sarebbe auspicabile che il sistema formativo affrontasse anche questi aspetti, quelle che in gergo si chiamano soft skill: per fare un esempio, le buoni doti comunicative non dovrebbero essere in capo solo al tizio che sembra più svelto, ma ad un certo livello di base dovrebbero essere un’abilità diffusa.

Chiaramente quando abbiamo ideato BeSmart! non avevamo intenzione di sostituirci all’attuale sistema formativo, ma essere una sorta di pionieri nell’affrontare questo tema. E siccome non siamo nemmeno maestri in molte delle smart skill che proponiamo (così le abbiamo chiamate, competenze intelligenti potrei azzardare in una delle possibili traduzioni) abbiamo chiamato dei testimonial per ognuna delle competenze che ci è venuta in mente: venerdì prossimo (26 ottobre) sentirete parlare Laura sull’importanza di conoscere le lingue, Cristiana su quella di saper comunicare (non solo attraverso la lingua), Antonella sulla determinazione e la perseveranza, Laura (un’altra) sulla costruzione delle relazioni. Ci saranno anche due ospiti a sorpresa (e proprio per non rovinarvela non vi dico chi saranno, ma porteranno altri due temi altrettanto interessanti). Personalmente mi sono persuaso che questo tipo di occasioni siano molto formative, si esce con qualcosa in più in testa e qualche volta nel cuore.

PS: se c’è ancora posto potete prenotare il vostro posto qui

Corpo europeo di solidarietà, le novità

Come forse ricordate, abbiamo parlato già lo scorso anno del CES – Corpo europeo di solidarietà, del suo avvio e di come funziona. Sappiamo già che migliaia di giovani tra i 18 e i 30 anni sono partiti per sostenere attività di solidarietà in varie zone d’Europa e non solo, con un volontariato, un tirocinio o un vero e proprio lavoro.

Il concetto di solidarietà, valore fondante dell’Unione, è alla base della creazione del Corpo europeo di solidarietà, che mira a promuovere un cambiamento sociale positivo. Il CES infatti offre ai giovani l’opportunità per contribuire significativamente alla società, promuovere solidarietà ma anche sviluppare competenze, abilità e conoscenze, attraverso un’esperienza umana e professionale.

La novità è che dal 5 ottobre 2018 il Corpo europeo di solidarietà ha una sua base giuridica specifica, un suo regolamento e un suo bilancio dedicato. Tutto ciò rende possibile l’avvio di tanti nuovi progetti che, com’è stato finora, consentono ai giovani di contribuire ad azioni di aiuto alle persone e le comunità bisognose, anche nel proprio paese.

Vediamo allora le tipologie dei progetti che sarà possibile vedere finanziate dal CES – Corpo europeo di solidarietà, a seguito del primo invito a presentare proposte, pubblicato ad agosto. Oltre al volontariato individuale a lungo termine, ai tirocini e agli impieghi nei settori della solidarietà, ecco le novità

  • le organizzazioni potranno offrire progetti a breve termine (da 2 settimane a 2 mesi) per gruppi di volontari. Le organizzazioni che non hanno ancora ottenuto il marchio di qualità, o quality label, necessario per poter presentare proposte, lo potranno richiedere in qualsiasi momento all’agenzia nazionale Erasmus+
  • potranno accedere ai finanziamenti non solo organismi pubblici e privati che hanno sede negli Stati membri dell’UE, ma anche i giovani registrati nel portale del corpo europeo di solidarietà potranno costituire un gruppo di almeno 5 partecipanti e creare loro stessi attività di solidarietà rivolte alla propria comunità e della durata che può andare dai 2 ai 12 mesi;
  • alcuni progetti di volontariato sono aperti anche alla partecipazione di organizzazioni non UE di paesi quali Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Turchia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia e altri paesi partner.

Per molte delle attività il termine per la presentazione delle proposte è il 16 ottobre ma c’è tempo ancora fino al 18  febbraio 2019 per i progetti di gruppi di volontariato. Per chi è interessato a presentare proposte, il consiglio è di partire dalla Guida del Corpo europeo di solidarietà, per capire bene quali sono i principi che lo ispirano, le finalità e di conseguenza proporre progetti per attività coerenti con le premesse.

Non resta che iscriversi al Corpo europeo di solidarietà e vedere quali sono le missioni a cui potresti prendere parte!

Study Abroad: una marcia in più

Study abroad, studiare all’estero, è l’evento che l’Informagiovani di Ancona organizza in collaborazione con le agenzie di soggiorni studio, per far conoscere le opportunità di formazione scolastica all’estero ai ragazzi dai 14 ai 18 anni.

Sempre più spesso i genitori di ragazzi studenti delle scuole superiori si sentono chiedere dai propri figli la possibilità di andare a studiare all’estero per un periodo più o meno lungo.

Ovviamente di fronte a una tale richiesta i genitori vengono assaliti da tanti dubbi e preoccupazioni. Lasciare andare un figlio in un altro Paese a una così giovane età non è senz’altro facile perché si teme che non sia in grado di affrontare da solo un cambiamento così importante. E non solo i genitori sono anche preoccupati per quello che aspetta al proprio figlio al rientro, dopo un periodo più o meno lungo di assenza dalla scuola italiana.

Ebbene, il programma di studio all’estero, conosciuto anche come “High school Program” prevede, infatti, la possibilità di frequentare un trimestre, un semestre o un intero anno scolastico all’estero, a seconda del paese scelto.

E cosa importante è riconosciuto dal MIUR. La durata massima della frequenza all’estero, al fine di garantire la riammissione in Italia, è di un anno scolastico purchè esso si concluda prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Nonostante il periodo di studio all’estero sia riconosciuto in Italia, tuttavia la riammissione e il passaggio al semestre o all’anno scolastico successivo non è automatica. Occorre quindi concordare, prima della partenza, con i professori e con il dirigente scolastico le modalità di riammissione.

Il programma è rivolto ai ragazzi/e di età tra 14 e 18 anni ma è consigliabile affrontare una scelta di questo tipo al terzo o quarto anno della scuola superiore, quando già i ragazzi/e hanno raggiunto un certo livello di autonomia e non sono impegnati con l’esame di maturità.

Ma da dove si inizia?

Innazitutto occorre scegliere una delle tante agenzie/associazioni, riconosciute dal MIUR, che si occupano di selezionare gli aspiranti partecipanti, prepararli alla partenza, scegliere le scuole all’estero e assegnarle a ciascuno e seguire gli studenti durante tutta la durata del programma.

La domanda va presentata diversi mesi prima della partenza; addirittura un anno prima per l’anno scolastico. La partenza in genere avviene nel mese di luglio dato il diverso inizio dell’anno scolastico negli altri paesi e la necessità di arrivare con un certo anticipo in modo da ambientarsi nel nuovo Paese.

I costi, abbastanza sostenuti, in genere variano da Paese a Paese e in base alla durata del soggiorno ma esiste anche la possibilità di ottenere delle borse di studio a copertura almeno parziale.

A fronte di questi aspetti, però, non si può non riconoscere l’importanza di esperienze di questo tipo, esperienze che formano la persona, il carattere e danno una marcia in più per il futuro professionale.

In primis certamente la possibilità di imparare meglio o da nuovo una lingua straniera, requisito ormai fondamentale in un mercato del lavoro ma anche in un mondo sempre più multiculturale.

Diventare cittadini del mondo, costruire un pacchetto di conoscenze e competenze da spendere in un mercato del lavoro sempre più globalizzato, innalzare le proprie soft skill di tipo relazionale, comunicativo e organizzativo: sono le esigenze sempre più pressanti degli studenti di oggi.

Per saperne di più vi invito a partecipare al nostro evento Study Abroad, dove avrete la possibilità di conoscere ben 13 agenzie e le opportunità da loro offerte e ascoltare la testimonianza di un ospite su come le sue esperienze di studio all’estero hanno influìto sul suo futuro professionale e contribuìto alla sua crescita personale.

La partecipazione all’evento è gratuita e aperta a tutti. Basta iscriversi.

Time to Move 2018, i nostri eventi!

E’ ottobre, e anche quest’anno torna Time to Move!

Time to Move è l’iniziativa europea di informazione e promozione delle opportunità di mobilità per studiare, vivere, lavorare e fare volontariato all’estero, promossa dalla rete Eurodesk, di cui anche noi facciamo parte.

Si può partecipare cominciando dal “Time to Move T-Shirt Design Contest”, un concorso per la creazione della maglietta più bella che esprima che cosa vuol dire per voi viaggiare: si vince un pass InterRail e altri premi interessanti!

Time to Move è anche poter scegliere tra tanti eventi organizzati per tutto il mese di ottobre. Queste attività ti faranno conoscere le tante possibilità per andare all’estero e partecipare a un progetto internazionale, esplorare l’Europa o acquisire esperienze che serviranno per il tuo futuro.

Per quest’anno, abbiamo organizzato due incontri diversi qui ad Ancona:

  • il primo è sul programma Erasmus per giovani imprenditori: sarà presente la referente del punto di contatto locale del programma, che ci spiegherà quali sono i requisiti richiesti per partecipare, quali sono i finanziamenti previsti e come accedere al programma. Avremo anche una testimonianza via Skype di un giovane imprenditore che sta svolgendo questa esperienza in questo momento!

 

La partecipazione ai due eventi è gratuita e aperta a tutti gli interessati, basta iscriversi attraverso la pagina dell’evento.

E se non hai trovato qui quello che ti interessa, contattaci e ti aiuteremo a trovare il progetto internazionale più adatto a te!