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Tre cose che ho imparato dal volontariato

Nel campo dell’orientamento, da che me ne occupo (o sento parlare), si usa distinguere tra tre tipi diversi di “sapere”: il sapere, il saper fare e il saper essere.

Si tratta di un modo per provare a organizzare e distinguere abilità diverse che ogni persona sviluppa durante il proprio percorso formativo e lavorativo. Il “sapere” è l’insieme delle cose che impariamo a scuola e in altri ambienti (sono le nostre conoscenze). Il “saper fare” è il modo con il quale quelle conoscenze le mettiamo in pratica e siamo in grado di applicarle a contesti e situazioni diverse.

E infine, il “saper essere” è il modo con il quale interagiamo con gli altri, affrontiamo le situazioni, risolviamo i problemi, gestiamo le emozioni… insomma tutto ciò che riguarda quello che in altri contesti potremmo chiamare lo “stile” ed anche il sistema valoriale a cui ispiriamo i nostri comportamenti.

Volendo essere spiccioli (e mi perdoneranno gli orientatori), se per il sapere c’è la scuola e per il saper fare c’è il lavoro, per il saper essere un buon terreno di messa alla prova e di crescita può esserlo il volontariato. Lo dico perchè ho avuto modo di rifletterci dopo aver dedicato una settimana di questo mese proprio a questo: tempo e disponibilità al servizio degli altri e di una giusta causa; un’esperienza che mi è servita sotto molti punti di vista, ma qui vi dirò quelli che secondo me sono i più rilevanti da un punto di vista professionale.

Impegnarsi senza un fine utilitaristico: sono, da sempre, un convinto sostenitore che perché si possa chiamare lavoro, deve essere pagato. Ma il fine del denaro (della carriera, degli obiettivi da raggiungere, ecc.) non sempre rappresenta la modalità migliore per disvelare il nostro massimo potenziale. Tolto quello (l’utile), potremmo accorgerci di avere un potenziale inespresso che si libera solo quando a prendere il comando non è il cervello ma magari anche un po’ il cuore, la passione, la motivazione personale. C’è anche il rischio di sorprendere se stessi!

Costruire relazioni nuove. Se stiamo sempre nello stesso contesto, facilmente incontriamo e ci confrontiamo più o meno con le stesse persone e, altrettanto con frequenza, all’interno dello stesso “setting” di riferimento (un po’ come andare in vacanza sempre nello stesso posto, leggere lo stesso tipo di libri, avere sempre e solo gli stessi amici). Invece qualche volta è utile cambiare orizzonte di riferimento e avere a che fare con persone e situazioni lontanissime da noi: funziona come una ricarica di energia e ci aiuta a tornare in maniera più vivace anche nella inevitabile routine.

Sperimentare l’altruismo. Il mondo e la società che stiamo sperimentando di questi tempi sono decisamente orientati a scelte individuali in cui il prossimo è spesso l’ultima delle nostre preoccupazioni, fino a scomparire del tutto. La tecnologia digitale, a cui non do la colpa, è tutta orientata all’individualismo: i social network li consultiamo da soli, lo smartphone è un oggetto personale, lo shopping e altre attività una volta solo fisiche sono diventate virtuali lasciandoci soli nella fruizione. Questo ed altri stili di vita che mano a mano apprendiamo (o ci adattiamo a far nostri) vanno nella direzione opposta dell’apertura agli altri che è invece fondamentale per imparare a essere, per esempio, più empatici e relazionalmente significativi.

C’è poi una cosa che mi sono ricordato facendo volontariato e che trovo utile condividere con chi legge questo post. Personalmente non riesco a lavorare (nel senso di dare il meglio delle mie competenze) in un contesto (ambiente lavorativo) il cui sistema valoriale è lontano (o, peggio, opposto) dal mio. Il lavoro è una brutta bestia perché da una parte ci permette di “portare a casa la pagnotta” e dall’altra ci richiede tempo ed energie che occupano buona parte della nostra vita: credo che sia auspicabile farlo rimanendo (e sentendosi) belle persone.



Peer-education, perché funziona?

La peer-education, che la si può definire una metodologia educativa, vede le sue prime applicazioni intorno agli anni ’60, neanche a dirlo, negli Stati Uniti. Ha poi avuto un boom negli anni ‘80 per la campagna informativa sull’AIDS ottenendo importantissimi risultati nel mondo anglosassone. In Italia è arrivata un po’ più tardi ma da alcuni anni ormai è molto utilizzata in contesti educativi informali ed in quelli scolastici, qualificandosi come un approccio articolato utile e funzionale all’ educazione alla salute. Essa propone dei modelli di comportamento sani, orientando l’individuo al benessere, mettendo in luce le criticità e i danni a cui si va incontro seguendo condotte cosiddette “a rischio”.

Ma come si attua un percorso di peer-education? E soprattutto, quali sono i protagonisti e i destinatari?

Letteralmente significa “educazione fra pari” e nella maggior parte dei casi tale proposta educativa è attuata in contesti giovanili, anche se per “pari” si intende un gruppo di individui che vivono e convivono uno stesso ambiente e hanno gli stessi interessi, a prescindere dall’età. Certo è, che soprattutto nel mondo adolescenziale, questa metodologia ha un forte impatto e la trasmissioni delle informazioni risulta essere molto efficace, sia in contesti formali come la scuola, sia in quelli informali.

Scelto il tema da trattare il passo più importante e delicato da tenere in considerazione per avviare un tale percorso è quello del coinvolgimento del gruppo classe, perché, cosa fondamentale è che i peer-educator, ovvero gli individui che saranno formati e che poi andranno a formare i loro pari, vengono selezionati tramite autocandidatura. Loro stessi scelgono, in base alle loro motivazioni ed interessi, di impegnarsi in un percorso formativo per condividere poi le informazioni ricevute con i loro pari, nel modo che reputano più opportuno e più vicino al loro linguaggio mettendo in campo le loro competenze, life-skills, che sono patrimonio di ogni individuo e che, a seconda delle necessità, vengono attivate con risultati spesso sorprendenti. Alcune caratteristiche, comunque, sono  comuni agli aspiranti peer educator che devono possedere buone capacità comunicative e relazionali, essere in grado di lavorare in un gruppo ed essere percepiti dai pari come affidabili e credibili; è questa la gran forza di questa metodologia, ovvero lo sfruttare il rapporto di influenza reciproca e continua che si manifesta all’interno di un gruppo di pari.

La peer-education, quindi, dà vita ad un movimento virtuoso di condivisione di conoscenze e di messaggi che si svolge in maniera sempre pro-attiva e che a cascata trasmette le informazioni sul tema scelto ad un numero sempre più ampio di individui favorendo così consapevolezza e conoscenza reciproca.

 

 

L’Informagiovani in due parole: informazione e orientamento

Quando ci chiedono cosa fa l’Informagiovani noi operatori rispondiamo sempre con due parole: informazione e orientamento.

Informazione – beh direte voi – si evince già dal nome; sì è vero diamo informazioni su tante tematiche ma non ci limitiamo a questo.

Cerchiamo infatti di aiutare a scegliere quali tra queste informazioni possono essere utili, ossia  orientiamo verso la strada o percorso più opportuno.

Aiutiamo a capire come muovervi verso il raggiungimento del vostro obiettivo personale e professionale: che si tratti di scegliere un corso di studi, un corso di formazione, un’opportunità lavorativa o ancora un’opportunità di mobilità all’estero o una soluzione abitativa in affitto. E molto altro ancora come potete vedere sul nostro sito.

Come lo facciamo? In maniera del tutto gratuita sia nell’attività quotidiana di sportello sia nelle attività laboratoriali che organizziamo in autonomia o in collaborazione con altre realtà.

Proprio dalla collaborazione tra Informagiovani e Polo 9 sono nati i laboratori di orientamento rivolti alle scuole secondarie di secondo grado di Ancona e provincia che hanno preso il via lo scorso anno e che continuano anche per il 2022, rientranti nel progetto YO – Your Opportunity.

Nel mese di marzo con cadenza settimanale stiamo realizzando infatti 4 laboratori on line rivolti alle classi terze e quinte di alcuni Istituti superiori della provincia di Ancona su tematiche legate al mondo del lavoro: “Il CV e la ricerca attiva del lavoro”, “Il colloquio di lavoro”, “Le competenze per i lavori del futuro” e “Be smart: testimonianze dal mondo lavorativo”.

Questi laboratori che le scuole propongono ai/alle propri/e studenti/esse come attività di PCTO hanno l’obiettivo di preparare i ragazzi e le ragazze ad affrontare il momento dell’uscita dal contesto scolastico e ad affacciarsi sul mondo del lavoro, un mondo con dinamiche e regole molto diverse da quelle che hanno conosciuto finora.

Cerchiamo di far capire ai/alle futur* lavoratori/trici quanto sia importante presentarsi nel modo giusto (regola valida non solo nel contesto lavorativo a dire il vero) con un buon cv, quanto siano importanti le competenze trasversali – avete mai sentito parlare di soft skill? – che, anche se inconsapevolmente, stanno già acquisendo e mettendo in pratica anche nel contesto scolastico e che saranno loro utili in tutti i contesti della vita. Il tutto arricchito da testimonianze provenienti dal mondo del lavoro.

Come sono organizzati questi laboratori? Cerchiamo sempre di mettere al centro delle nostre attività i ragazzi e le ragazze e quindi alterniamo a momenti frontali momenti interattivi dove i/le protagonisti/e siano proprio loro.

Nel corso degli anni abbiamo organizzato anche altri tipi di laboratori rivolti alle scuole; per scoprirli consultate la pagina workshop sul nostro sito.

Ogni anno proponiamo alle scuole i nostri workshop lasciando ai docenti la valutazione di utilizzarli come attività per i/le propri/e studenti/esse ma anche gruppi di ragazz* possono organizzarsi in autonomia per richiederceli. I nostri workshop sono gratuiti e possono essere realizzati sia in presenza (situazione pandemica permettendo) sia on line.

Se sei un* insegnante o un/una ragazzo/a interessat* puoi contattarci per avere maggiori informazioni. Saremo lieti di soddisfare la tua richiesta.

Be Smart (3), ci vediamo il 13 dicembre

Venerdì 13 dicembre torna uno degli appuntamenti di Be Smart il progetto dedicato alle competenze per i lavori del futuro. Sul nostro “palco” saranno protagonisti tre testimonial che racconteranno le loro smart skill in maniera originale e divertente. Nella formula rinnovata e progettata con Warehouse Coworking Factory abbiamo anche aggiunto due ospiti: intervisteremo due professionisti per avere consigli e suggerimenti per la nostra carriera professionale.

Come funziona Be Smart? Be Smart è un insieme di brevi speech incentrati sulle competenze trasversali o, come le abbiamo chiamate noi, sulle smart skill. Per noi le smart skill sono le competenze “intelligenti”, quelle che ci possono aiutare a capire meglio il mondo del lavoro e cogliere le opportunità che ci meritiamo.

Quali smart skill scopriremo il 13 dicembre? “Pensiero strategico” è il nome che abbiamo dato alla smart skill che ci presenterà Sergio Sarnari. Avere un pensiero strategico significa chiarire a se stessi prima che agli altri quali saranno gli sviluppi delle azioni che mettiamo in campo. Negli ambienti lavorativi il pensiero strategico non è solo capacità di leggere in anticipo le conseguenze del proprio operato ma anche, in maniera analoga e contraria, mettere in campo delle azioni per vedere accadere le esatte conseguenze che vorremmo capitassero. Il pensiero strategico è il modo in cui architettiamo il nostro operato per raggiungere i nostri obiettivi. Esattamente come accade in un partita a scacchi. Ed è per questo che a raccontarlo sarà Sergio Sarnari che, oltre ad essere un imprenditore nel mondo digitale (in cui la strategia è un elemento fondamentale), è anche uno scacchista.

Marina Mancini, imprenditrice marchigiana, racconterà attraverso la sua storia una smart skill in contro tendenza: “saper aspettare“. In un mondo che va sempre più veloce ci siamo abituati a fare scelte istantanee, a ragionare sull’immediatezza, a essere sempre pronti. C’è però anche una dimensione diversa: quella dell’attesa. A volte saper aspettare significa avere il coraggio, l’intuizione e forse la saggezza di vedere oltre l’immediato. Saper aspettare significa prendersi il tempo di raccogliere informazioni utili, analizzare e cercare di comprendere circostanze e contesto, raccogliere elementi per poter fare una scelta che sia prima di tutto più consapevole, matura, ragionata. Questo è il modo con il quale Marina gestisce la sua impresa: più attenta alla ponderazione che non all’attrazione di luccicanti e immediati successi

E infine “tenere il ritmo“. Quando teniamo il ritmo che cosa facciamo? Fondamentale questi passaggi: ascoltiamo la musica, cerchiamo di cogliere la cadenza, ci armonizziamo con quella cadenza. Come si applica questa competenza alla vita professionale? Secondo noi sarà importante avere all’interno delle imprese persone che sappiano “tenere il ritmo” in questo senso: da una parte cogliere i bisogni e le aspettative del territorio (nonché in qualche caso anche i trend e le mode) e dall’altro offrire all’impresa i giusti suggerimenti per trovare il “ritmo” che hanno ascoltato. Andrea Celidoni, musicista con la passione per la cucina, ci parlerà di come nella sua vita sia riuscito molte volte a cogliere questo ritmo: non solo come musicista, ma anche come ideatore e organizzatore di eventi, iniziative e attività che hanno spesso trovato ampio consenso.

Ma non finisce qui: tra una smart skill e l’altra ci sarà lo spazio per intervistare due professionisti (e amici dell’Informagiovani) che potranno distribuire preziosi consigli grazie alle loro esperienze. A rispondere alle nostre (e alle vostre se volete) domande ci sarà Cristina Andreoli, esperta di marketing relazionale con una lunga esperienza nel campo dell’internazionalizzazione. Insieme a lei Giovanni Lucarelli, esperto e formatore in creatività e innovazione.

L’aperitivo finale sarà il modo in cui potremo conoscere meglio i relatori, ci saluteremo e, perché no, ci faremo gli auguri. Vi aspettiamo ma… prenotate il vostro posto gratuito!

BeSmart, abbiamo il libro

Avete presente quando alla fine di un gran lavoro, una fatica, un grande impegno tirate un sospiro di sollievo? Ecco ieri pomeriggio un po’ tutta la nostra equipe (chi più e chi meno profondo) ha tirato un profondo e rigenerante sospiro di sollievo. Quel sospiro di sollievo conteneva anche tanta soddisfazione per qualcosa che abbiamo costruito insieme e che rappresenta un bel traguardo per il nostro servizio.

Scrivere un libro, anche se in questo caso forse il termine più adeguato è forse manuale, è un lavoro fatto di tanti pezzi: la visione di insieme che aiuta a focalizzarsi sul messaggio da mandare, l’attenzione ai dettagli che servono a rendere ciò che si legge davvero interessante, la creatività per rendere il tutto anche originale. L’obiettivo di tutto questo, nel nostro caso, non era affatto egoistico.

Abbiamo scritto un manuale delle competenze per i lavori del futuro sostanzialmente per due motivi. Il primo è che, davvero, abbiamo idea che possa essere una risorsa davvero utile per chi sta cercando lavoro e anche per chi, nel mondo del lavoro, cerca di orientarsi al meglio. Non è un trattato sociologico su questioni lavorative, più semplicemente una raccolta di testimonianze, di pratiche che raccontano quelle che abbiamo chiamato smart skill. Sono storie e, come tutte le storie, solitamente lasciano sempre un segno in chi le legge.

Il secondo è che con BeSmart abbiamo organizzato più di un evento durante lo scorso anno a cui hanno partecipato molte persone. Sui social la voce si è diffusa e “Besmart” è diventato conosciuto. Ma per noi era importante riuscire a capitalizzare le esperienze e i racconti raccolti durante queste iniziative perché possano essere contagiose di quante più persone possibile.

Nel libro, chi lo ha avuto ieri in copia omaggio lo sa già, oltre alle storie dei testimonial sulle smart skill ci sono anche altri contenuti bonus: schede di approfondimento, contenuti esclusivi e anche qualche esercizio. Eh sì, per BeSmart è un libro che può aiutare chilo legge anche ad allenarsi. Le smart skill non sono prerogativa di qualcuno in particolare e men che meno le caratteristiche di qualche supereroe. Ognuno di noi può trovare quella che gli è più congeniale e far diventare la propria smart skill la chiave di successo per il proprio lavoro del futuro. Buona lettura!

PS: per avere una copia dle libro e conoscere le prossime iniziative c’è un sito apposito: besmart.informagiovaniancona.com

Cosa fa la differenza

In questo periodo stiamo proponendo con una certa frequenza temi e attività che riguardano le competenze trasversali (chi ci segue sa che anche gli ultimi eventi che hanno avuto come tema questo): con un termine abusato si chiamano soft skill e sono quelle cose che ognuno di noi sa fare anche se non ha frequentato un corso o una scuola per impararle.

Le competenze trasversali, nella considerazione comune, vivono di una doppia fama. Da una parte c’è chi le considera soltanto un orpello utile a chi deve chiacchierare di competenze e mercato del lavoro, perché nel mondo del lavoro quello “vero” è importante imparare un mestiere, saper fare una cosa (meglio se pratica) in maniera corretta senza badare a tante altre cose. Questa teoria, a mio modo di vedere, ha un fondo di verità (è vero, quando ti pagano per un lavoro la prima cosa è saperlo fare in maniera corretta) ma anche un certo livello di approssimazione (per esempio: tutti sappiamo portare un piatto al tavolo, ma non tutti siamo bravi camerieri). Più in generale mi pare che il problema più serio di questa teoria sia un certo anacronismo: questo approccio, secondo me, andava bene 20 o 30 anni fa quando il mercato del lavoro era più semplice per certi versi.

Poi c’è invece chi, senza esagerare, considera le soft skill un elemento abbastanza importante per definire la propria professionalità. Quando mi capita di parlare in qualche scuola faccio sempre questo esempio. Nell’anno in cui vi diplomerete, insieme a voi lo faranno qualche altra decina di persone. E stiamo parlando dello stesso istituto, perché se allarghiamo l’orizzonte a un territorio più ampio o all’intera nazione i numeri si moltiplicano notevolmente. ora la domanda è: è ragionevole pensare che tutti i diplomati di una stessa scuola siano uguali in senso professionale? Detto in altro modo: se ciascuno di quei diplomati (ma vale anche per la laurea) compila un curriculum e lo porta ad un dato datore di lavoro, per questo non fa nessuna differenza il candidato che si presenta? Chiaramente la risposta è no. Per il datore di lavoro (ma per chiunque debba avere a che fare con noi, in senso professionale e non solo) non è indifferente la persona che ha davanti, anche se ha la stessa formazione, sa fare le stesse cose, ha acquisito le stesse conoscenze. Alla domanda “che cosa fa la differenza?” la mia risposta è che è il bagaglio delle competenze trasversali. Non intendo, se per caso fosse passato questo messaggio, la personalità di ciascuno.

Le competenze trasversali (saper comunicare, sapersi organizzare, saper costruire e mantenere relazioni, saper lavorare in gruppo e via discorrendo) sono abilità che arricchiscono le nostre competenze più tecniche. Per certi versi io credo che ci facciano, per esempio, essere migliori ingegneri, commercialisti, idraulici, professori, impiegati eccetera. Le competenze trasversali ci aiutano a marcare una differenza con gli altri. Si tratta di una differenza, sulla quale, se siamo bravi, possiamo costruire la nostra carriera. Mi piace poter dire una cosa: il nostro obiettivo, nel mondo del lavoro, dovrebbe essere sempre quello di scegliere di essere diversi.

ATTENZIONE, forse cerchiamo anche te! 😉

Se pensi di avere una competenza che fa la differenza partecipa al prossimo appuntamento di BeSmart e vieni a raccontarcela! Clicca qui e scopri come!

Che lingua stiamo parlando?

Il nostro rapporto con la lingua è quantomai controverso, soprattutto da qualche tempo a questa parte. Riduciamo da qualche anno la numerosità di vocaboli, sbagliamo sempre più spesso l’utilizzo di alcune proposizioni (accidenti al “piuttosto che” utilizzato come disgiuntivo), incespichiamo sempre più spesso nella scelta dei tempi verbali (congiuntivo o condizionale?).

Insomma, come direbbe Paolo Villaggio interpretando il personaggio di Fantozzi (che peraltro con l’uso distorto dell’italiano ha giocato parecchio), pare siamo immersi in dubbi atroci ogni volta che parliamo, scriviamo o comunque ci esprimiamo in italiano. A questo bisogna aggiungere che ci facciamo troppo spesso condizionare (non so se sia il termine giusto) dall’inglese o, meglio, dal suo utilizzo mescolato ed errato con l’italiano come spiega Annamaria Testa nello speech (ops, ci sono cascato anche io!) che potete vedere anche in fondo a questo articolo.

Qual è il problema di noi italiani con la lingua? Che lingua stiamo parlando? e come, per quello che ci interessa, questa cosa influenza e determina anche le nostre scelte professionali? La risposta a queste domande non è facile. Anche perché, la faccenda si potrebbe affrontare anche da un altro lato come fa Anna Momigliano in questo articolo comparso su Rivista Studio ad aprile scorso: noi italiani, in genere e nella media, conosciamo poco la lingua inglese che preferiamo imparare e praticare con pressapochismo, poca scioltezza e molta improvvisazione (che, a volte, è davvero l’arma vincente). Però capita che molti bandi di lavoro, anche pubblici, richiedano la conoscenza di questa lingua ma capita anche che la scuola dell’obbligo non lo insegni quanto serve. Il fatto che in alcune conferenze, relatori con titoli altisonanti non facciano altro che innondare i propri discorsi con parole come trust, score, shift, book, reputation, dis-trust (solo per citare alcuni termini che ho sentito con le mie orecchie) è dovuto proprio alla mancata conoscenza della lingua. e direi pure della lingua italiana prima ancora di quella inglese.

Come dovremmo comportarci? Scrivo la mia, con la forte convinzione che è solo un’opinione e non una regola o un insegnamento. Non utilizzare le giuste congiunzioni o sbagliare i congiuntivi (oppure sostituirli con tempi verbali più semplici) non ci fa fare una bella figura anche se non ce ne accorgiamo e, ahimè, anche se non sempre se ne accorge chi ci ascolta. Usare l’inglese per sembrare belli e importanti non fa “figo” (chissà, è un neologismo o una bruttura questo termine?) ma solo sciatti, impreparati e, se mi passate il termine, un po’ coatti. Quando ci proponiamo nel mondo del lavoro e dobbiamo o vogliamo raccontare le nostre competenze sarebbe bene che lo facessimo nella lingua più consona a chi ci ascolta o a chi indirizziamo i nostri scritti (che siano mail, lettere motivazionali, relazioni, ecc.): l’italiano con gli italiani, l’inglese con i gli anglosassoni e via discorrendo. Se non siamo sicuri di quel che scriviamo (e, lasciatemelo dire, fatevi venire più dubbi del normale, è conveniente!) possiamo sempre farci aiutare (per esempio, all’Informagiovani, una mano ve la possiamo dare in un paio di lingue almeno).

Il tema poi è ampio e diversificato tanto che ci torneremo anche con la nostra iniziativa BeSmart, nel suo secondo appuntamento del prossimo 26 ottobre (e questa notizia è un’anteprima assoluta!): uno dei temi che affronteremo sarà proprio quello della lingua, perché ci sembra che questa rappresenti una di quelle competenze da curare e valorizzare. La lingua che parliamo (nel senso più ampio di questo termine) non racconta soltanto quello che vogliamo dire quando la utilizziamo, ma parla anche di noi, della nostra storia, della nostra cultura: abbiamone cura!

PS: l’immagine di questo post non ha nulla a che fare (credo) con la lingua, ma ci serve per segnalarvi che questo blog va in vacanza fino alla fine di agosto, buona estate!

Assistente di studio odontoiatrico: una nuova figura professionale

L’A.S.O., acronimo di Assistente allo studio odontoiatrico, è la nuova figura professionale che va a sostituire quella di assistente alla poltrona in base alla Conferenza 209/2017.

Dal 6 febbraio 2018 questo profilo professionale è riconosciuto dalla legge con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.P.R. che istituisce questa nuova figura come operatore di interesse sanitario in possesso dell’Attestato conseguito a seguito della frequenza di specifico corso di formazione.

L’A.S.O. è una figura professionale che ricopre un ruolo fondamentale all’interno di uno studio dentistico svolgendo attività finalizzate all’assistenza dell’odontoiatra e dei professionisti sanitari del settore durante la prestazione clinica, alla predisposizione dell’ambiente e dello strumentario, all’accoglimento dei pazienti e alla gestione della segreteria e dei rapporti con i fornitori. Non può né deve, invece, intervenire direttamente sul paziente anche in presenza dell’odontoiatra e dei professionisti sanitari del settore. La sua attività prevede quindi una collaborazione fattiva con tutta l’equipe.

L’assistente di studio odontoiatrico può svolgere la propria attività negli studi odontoiatrici e nelle strutture sanitarie che erogano prestazioni odontostomatologiche.

A fronte di tutte queste mansioni che si trova a ricoprire, è chiaro che chi aspira a diventare assistente allo studio odontoiatrico dovrà possedere alcune caratteristiche personali, come capacità di relazionarsi con il pubblico, empatia, precisione, capacità organizzative e di gestione logistica dello studio, capacità di lavorare in autonomia ma allo stesso tempo di lavorare in team e scarsa impressionabilità.

Oltre a queste doti personali dovrà ovviamente possedere anche caratteristiche professionali acquisibili attraverso la frequentazione di un apposito percorso formativo.

Per diventare assistente allo studio odontoiatrico è, infatti, necessario seguire corsi di formazione, autorizzati o finanziati dalle Regioni o dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, della durata complessiva non inferiore a 700 ore suddivise in 300 di teoria ed esercitazioni e 400 di tirocinio. La durata del corso non può comunque superare i 12 mesi.

Per accedere a questi corsi sono sufficienti l’assolvimento dell’obbligo scolastico e la conoscenza della lingua italiana (parlata e scritta).

Al termine del corso e previo superamento dell’esame finale si ottiene la qualifica di Assistente di studio odontoiatrico, valida su tutto il territorio nazionale.

Sono esonerati dall’obbligo di frequenza del corso di 700 ore e di superamento dell’esame finale e quindi dal conseguimento della qualifica coloro che hanno avuto un inquadramento contrattuale di assistente alla poltrona e abbiano lavorato, anche come apprendistato, per un periodo di minimo 36 mesi, anche non consecutivi, negli ultimi 5 anni antecedenti all’entrata in vigore della conferenza 209/2017.

I lavoratori già in possesso di titoli o crediti formativi inerenti alla professione di ASO, potranno pertanto ottenere una riduzione parziale o totale della durata del corso di formazione.

Per avere informazioni su questi ed altri corsi in ambito regionale, potete consultare gli elenchi sul nostro sito alla pagina formazione oppure scrivere a formazione@informagiovaniancona.com.

Alla scoperta delle smart skill con “Be Smart!”

L’8 giugno è una data importante, perché impareremo insieme come prepararci ai lavori del futuro: all’Informagiovani di Ancona ci aspetta infatti “Be Smart!”, un viaggio alla scoperta delle nuove smart skill, le competenze “intelligenti” che ci aiutano a diventare più competitivi nella vita e nel lavoro.
Cosa sono le smart skill? Abbiamo ribattezzato così le cosiddette competenze trasversali: non quelle che apprendiamo attraverso lo studio specialistico o focalizzandoci su una materia specifica, ma quelle che ci appartengono in quanto persone. Saper parlare in pubblico, possedere un metodo di lavoro, sapersi organizzare, sono tutti esempi di competenze trasversali. Anche se in parte si tratta di caratteristiche legate alla nostra personalità, non significa che non possiamo coltivarle e migliorarle costantemente, perché esistono strumenti e tecniche per farlo.

Il primo motivo per cui veniamo presi in considerazione per un posto di lavoro è che possediamo le competenze specifiche richieste: sono le cose che conosciamo e che sappiamo fare che ci rendono candidabili per un determinato lavoro. Poi c’è il motivo per cui veniamo scelti, e qui entrano in gioco le competenze trasversali: per tutti i lavori che ci troveremo a svolgere, verosimilmente verremo scelti non solo per quello che sappiamo fare, ma anche per quella particolare caratteristica che ci distingue, perché su quella qualità peculiare il nostro futuro datore di lavoro potrà riporre la sua fiducia.
Le competenze trasversali servono per adattarci ai nuovi contesti, a renderci più competitivi, a intuire quali sono i cambiamenti in atto in un mondo del lavoro sempre più mutevole ed esigente.

Non esiste una lista codificata di soft skill: nel selezionare le competenze “intelligenti” da approfondire a “Be Smart!” abbiamo effettuato una scelta, una selezione ragionata di quelle che riteniamo oggi più strategiche e utili da approfondire. L’altro criterio che ci ha guidato nella progettazione di questo evento è stata la scelta dei relatori: non volevamo accontentarci di professionisti che sapessero descrivere una competenza trasversale, volevamo innanzitutto dei testimonial di quella competenza. I sette professionisti che interverranno l’8 giugno ci racconteranno quindi non solo in cosa consiste quella competenza, ma anche come essa ha avuto un impatto sulla loro vita personale e professionale.

A oggi i posti per Be Smart! sono esauriti, ma vi invitiamo a tenere d’occhio la pagina dedicata all’evento nel caso in cui nei prossimi giorni qualcuno rinunciasse al proprio biglietto d’ingresso gratuito. Ci teniamo comunque a dire che “Be Smart!” è un progetto che non si esaurirà con l’incontro dell’8 giugno, ma avrà diverse declinazioni e un respiro più ampio: diventerà innanzitutto un prodotto editoriale, dove cercheremo di documentare l’incontro, integrando gli interventi con interviste ai testimonial, schede tematiche e approfondimenti specifici.
A chi non fosse riuscito a riservare il proprio posto: tranquilli, stiamo già pensando di riproporlo in un prossimo futuro, magari con una formula diversa. Non possiamo anticipare ancora nulla, ma lo faremo non appena avremo qualche coordinata in più a riguardo.
Una cosa è certa: per noi “Be smart!” non è un appuntamento isolato, ma l’inizio di un percorso, dove cercheremo di proporre delle occasioni nuove e uniche per andare “alla scoperta delle competenze per i lavori del futuro”.

La formazione per l’operaio edile

La figura dell’operaio è una delle quattro tipologie di lavoro subordinato insieme al ruolo di quadri, dirigenti e impiegati. La caratteristica principale di questa categoria è quella di essere legata allo svolgimento di mansioni di tipo manuale o tecnico.

Il lavoro degli operai si differenzia in varie tipologie, in base a quanto fissato dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro. In base al grado e alla tipologia di preparazione tecnica del lavoro, si distinguono tre tipologie: operai comuni, operai qualificati e operai specializzati.

L’Operaio edile comune opera nel settore delle costruzioni edili all’interno dei cantieri come dipendente di imprese edili. La sua attività è coordinata dal caposquadra, ed è di supporto al muratore.

L’operaio edile comune assiste il muratore nella costruzione o ristrutturazione di opere edili; carica e scarica i materiali necessari all’allestimento del cantiere edile; rimuove le strutture pre-esistenti demolite e affianca manualmente la macchina movimento terra nello scavo di fondazione e di trincea.

Nelle piccole e medie imprese di costruzione il lavoro è molto diversificato e gli operai devono essere versatili ed in grado di affrontare l’ampio ventaglio di prestazioni richieste; nelle grandi imprese si afferma maggiormente la specializzazione in un determinato tipo di lavoro. In qualsiasi situazione, comunque, il lavoro viene eseguito a squadre più o meno grandi e sempre di più viene richiesta la capacità di collaborare con altri artigiani operanti sul cantiere.

La specializzazione si acquisisce a seguito di specifici corsi di formazione organizzati dalle scuole edili presenti sul territorio.

In questo momento sono aperti due corsi di formazione gratuiti in tema di edilizia che mirano a formare delle figure qualificate e specializzate.

Il primo corso, dal titolo Operaio edile – Rebuild4Future, mira a formare operatori tecnici del settore edile, esperti nella realizzazione e finitura di opere edili, nell’allestimento del cantiere edile, nella pianificazione, controllo e verifica di conformità del proprio lavoro. Particolare attenzione verrà rivolta alle soluzioni per la ricostruzione POST – SISMA.

Il secondo corso, dal titolo Operaio edile specializzato in edilizia sostenibile, mira a formare una figura  che svolge la sua attività nei cantieri edili usando una notevole varietà di materiali, realizzando opere di sostegno sia per le strutture già esistenti sia per le nuove strutture con particolare attenzione al reperimento delle materie prime, ai processi produttivi dei materiali, alla dismissione del bene, al recupero e alla riciclabilità dei materiali, coniugando le esigenze e l’evoluzione dell’edilizia, con il rispetto dell’ambiente, del territorio e della salute dell’uomo.

Entrambi i corsi sono rivolti alle persone disoccupate/inoccupate regolarmente iscritte al CIOF di propria competenza e residenti nella regione Marche..

Informazioni più dettagliate su questi ed altri corsi sono reperibili come sempre negli elenchi dei corsi, gratuiti e a pagamento, consultabili alla pagina formazione del nostro sito oltre che scrivendomi a formazione@informagiovaniancona.com.

Le soft skill non sono così morbide

Le soft skill (sapete cosa sono? Leggete brevemente qui) sono già oggi tra le competenze che più dovremmo curare per poterci definire professionisti a tutti gli effetti. La preparazione tecnica specifica è sicuramente un fattore determinante nel posizionamento nel mercato del lavoro e tradotto in parole più semplici significa che senza un’adeguata e solida preparazione didattica si rischia di rimanere ai margini del mercato del lavoro, raccogliendo solo quello che gli altri (quelli preparati scartano). Le soft skill ci aiutano però per almeno due cose: distinguerci dagli altri con la nostra stessa preparazione e muoverci meglio nel sistema di contatti e opportunità nel quale viviamo (più genericamente potremmo dire nell’ambiente professionale).

Un’indagine fatta negli Stati Uniti ha rilevato che tra il 2000 e il 2012 sono aumentate le posizioni lavorative che richiedono le cosiddette capacità non-cognitive, quelle cioè che prevedono abilità come comunicare e lavorare in gruppo, contrapposte solitamente a quelle che prevedono un certo livello di quoziente intellettivo oppure la capacità di raggiungere risultati in un certo ambito. Significa che le soft skill sono diventate a un certo punto un valore aggiunto di qualsiasi candidato, anche quelli con una buona preparazione culturale, tecnica e scientifica. A validare questa ipotesi c’è anche una ricerca universitaria (sempre degli USA) che ha analizzato quelle che nel paese nordamericano chiamano STEM. L’acronimo sta per Science (Scienze), Technology (Tecnologie), Engineering (Ingegneria), Mathematics (Matematica).

Le STEM sono state, a partire dagli anni ’80, le dottrine che hanno colonizzato lo sviluppo e la crescita economica mondiale. Sono le materie con le quali, anche nel nostro Paese, si poteva trovare con una certa facilità un lavoro nella fascia lata del mercato; le materie della classe dirigente in buona sostanza. La formazione scientifica, che accomuna queste quattro categorie, è stata per anni il faro della civiltà (e lo è ancora per molti versi). La ricerca universitaria fatta da David Deming, economista della Harvard University evidenzia come la forza lavoro con maggior componenti di soft skill sia cresciuta più di quanto non lo abbiano fatto quelle con minor componenti di queste (le STEM). In buona sostanza nell’arco dei dodici anni che vanno dal 2000 al 2012, le soft skill hanno superato in crescita le competenze tecniche strettamente intese (nell’immagine che mettiamo questo meccanismo è ben evidente con le professioni con soft skill preponderante in minuscolo e le professioni più squisitamente tecniche in maiuscolo).

soft skill VS STEM

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Attenzione però, anche il ricercatore ricorda che questo non significa che bisogna abbandonare gli studi tecnici. Fa però porre l’attenzione su una tendenza di cambiamento, legata alla generale conquista dell’informatica e delle tecnologie di vari settori. Detto in parole molto semplici, mano a mano che i computer (passatemi questo termine per intendere fenomeni come il machine learning e l’intelligenza artificiale) imparano a eseguire compiti tecnici (dal calcolo in poi), noi esseri umani saremo sempre più importanti in abilità di tipo trasversale che le macchine fanno più fatica a crescere. Le soft skill, forse, alla fine saranno quelle che continueranno a regalarci un posto privilegiato nel mondo del lavoro.

Diventare professionisti delle vacanze

Professionisti delle vacanze, il tradizionale appuntamento dedicato alle opportunità lavorative per la stagione estiva organizzato dall’Informagiovani di Ancona, compie 4 anni.

Risale, infatti, al 2015 la prima edizione del format che nel corso degli anni si è arricchita di contenuti nuovi, a cominciare dal numero di appuntamenti previsti e dal numero di agenzie presenti.

Anche per il 2018 sono previsti due appuntamenti e la presenza di agenzie nuove accanto a quelle ormai “affezionate” con le quali l’Informagiovani collabora da diverso tempo, segno questo di serietà ed affidabilità.

Lo scorso anno abbiamo poi indirizzato il format anche verso le opportunità di lavoro per la stagione invernale, con l’evento Professionisti delle vacanze invernali, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo.

L’Informagiovani è da sempre vicino alle esigenze dei “giovani” e per questo organizza eventi di vario tipo a loro rivolti, con l’obiettivo di orientarli nella scelta degli strumenti utili per trovare una propria strada formativa e lavorativa.

Professionisti delle vacanze è stato pensato proprio in quest’ottica, dal momento che tra le diverse proposte formative e lavorative, l’ambito turistico e delle vacanze organizzate apre numerose possibilità interessanti e diversificate.

In primo luogo, per i ragazzi si tratta di un modo con il quale entrare in contatto con dei potenziali datori di lavoro che svolgeranno infatti le selezioni per la prossima stagione estiva. I ragazzi dovranno quindi cercare di presentarsi al meglio ai selezionatori proponendo loro un efficace curriculum vitae ed affrontando un (per alcuni primo) colloquio di lavoro. Queste esperienze generano di solito ansia e preoccupazione ma avere la possibilità di farlo all’interno di un contesto organizzato e curato da un servizio come l’Informagiovani mette al riparo dalle brutte figure più comuni ma anche dalle brutte sorprese.

L’Informagiovani, infatti, dà la possibilità ai ragazzi di revisionare o scrivere ex novo il proprio curriculum vitae sotto la supervisione gratuita degli operatori, al fine di migliorarlo e renderlo più appetibile.

In secondo luogo, per i ragazzi è l’occasione di poter eventualmente lavorare per un periodo, in Italia o all’estero, e conoscere il mondo del lavoro, sviluppare competenze utili per la propria crescita personale e professionale, mettersi alla prova concretamente con un lavoro regolare e retribuito.

I requisiti richiesti variano ovviamente in base al tipo di ruolo che si vuole ricoprire. Sono, invece, richiesti a tutti la maggiore età (da compiersi entro giugno 2018), la disponibilità a spostarsi e viaggiare, buone doti comunicative, buona capacità di adattamento e non ultima la conoscenza delle lingue straniere.

Inoltre autocontrollo, spirito di collaborazione, capacità organizzative, flessibilità e sensibilità sono tutte caratteristiche richieste ad un futuro animatore ma anche soft skills che il lavoro stesso consentirà di sviluppare e che risulteranno utili non solo in contesti lavorativi ma nella vita in generale.

Gli appuntamenti di Professionisti delle vacanze 2018 sono due: il 6 febbraio e il 15 marzo alle ore 15.00 nella sede dell’Informagiovani di Ancona.

Ad ogni data saranno presenti 3 o 4 agenzie differenti che presenteranno le figure ricercate e le proprie attività e svolgeranno i colloqui di selezione.

Si può partecipare ad una sola o ad entrambe le date.

La partecipazione è gratuita ma occorre iscriversi o contattando l’Informagiovani o compilando il form sul sito al link https://sviluppo.informagiovaniancona.com/professionistivacanze.

Le professioni nel turismo

Quando si dice turismo, vengono subito in mente gli alberghi o le altre strutture ricettive. Ma il turismo coinvolge molte figure professionali e costituisce una disciplina importante e variegata.

Per quanto riguarda la disciplina del turismo, le leggi per regolamentare le imprese fanno capo allo Stato, mentre per quanto riguarda lo svolgimento di alcune professioni, la normativa è a livello regionale.

La Regione è, infatti, l’organo che rilascia le autorizzazioni necessarie. Per le Marche la legge che definisce e regola le professioni turistiche è L.R. 11 luglio 2006, n. 9 “Testo Unico delle norme regionali in materia di turismo”.

Le professioni turistiche sono quelle che prestano attività incentrate sulla promozione turistica, i servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, allo scopo di offrire un servizio completo ai turisti e far vivere una gradevole esperienza di viaggio, anche dal punto di vista della conoscenza dei luoghi visitati.

Le professioni turistiche per così dire tradizionali sono quelle di: guida turistica, accompagnatore turistico, guida ambientale escursionistica e direttore tecnico di agenzia di viaggio e turismo.

La guida turistica e l’accompagnatore turistico sono figure autonome, che collaborano con imprese turistiche, alle quali oggi sono richieste competenze come la forte specializzazione in determinate aree territoriali, capacità narrative e di mediazione, l’ottima conoscenza di almeno una lingua straniera.

La guida turistica opera come professionista e accompagna persone o gruppi nelle visite ad opere d’arte, a musei, a gallerie, a scavi archeologici, illustrando le attrattive storiche, artistiche, monumentali, paesaggistiche e naturali. Per diventare guida turistica occorre superare un esame per l’abilitazione alla professione (Legge Regionale n.50/1985). Una volta superato l’esame, la guida potrà operare esclusivamente nella provincia dove ha conseguito l’abilitazione.

L’accompagnatore turistico segue persone singole o gruppi di persone nei viaggi attraverso il territorio nazionale o all’estero, assistendoli in tutte le fasi del percorso, fornisce elementi significativi o notizie di interesse turistico sulle zone di transito. É il referente di fiducia di un’agenzia o tour operator in una determinata località turistica.

La guida naturalistica o ambientale escursionistica accompagna persone singole o gruppi di persone in ambienti naturali o di interesse per l’educazione ambientale, illustrandone le caratteristiche territoriali, gli aspetti ambientali e storico-antropologici.

Il direttore tecnico di agenzia viaggi è il soggetto indicato dalla legislazione nazionale e regionale vigente come responsabile della gestione tecnica dell’agenzia di viaggio; si occupa degli aspetti direttivi, gestionali ed amministrativi dell’azienda, in particolare per quel che riguarda la produzione, l’organizzazione o l’intermediazione di viaggi e di altri prodotti turistici.

L’esercizio delle professioni turistiche è subordinato al possesso della specifica abilitazione. Per le guide turistiche l’abilitazione ha validità nel territorio della Provincia che l’ha rilasciata, per le guide naturalistiche ha validità nell’intero territorio regionale. L’abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche si consegue mediante superamento del relativo esame di idoneità scritto e orale.

Al momento in ambito regionale sono attivi dei corsi di formazione per l’ottenimento della qualifica di guida naturalistica o ambientale escursionistica (uno gratuito ed uno a pagamento) e del diploma di specializzazione di direttore tecnico di agenzia viaggi (gratuito).

Come sempre potete prendere visione di questi ed altri corsi negli elenchi consultabili sul nostro sito alla pagina formazione.

Le capacità diverse

C’è una differenza sostanziale tra avere capacità tecniche e avere la capacità di svolgere un’attività lavorativa. C’è una differenza tra conoscere tutti gli aspetti di una professione e riuscire invece a esercitarla con “naturalezza” mi verrebbe da dire. Il motivo è semplice e al tempo stesso poco intuibile solitamente: l’ambiente di lavoro, qualunque esso sia non è fatto solo di competenze tecniche ma anche di altri aspetti fondamentali che sono legati ad altre nostre abilità, modi di fare e interagire di cui abbiamo poca percezione.

Tra le abilità di genere diverso, per così dire, ce ne sono un paio su cui vorrei portare l’attenzione. La prima è legata alla modalità e alla capacità che abbiamo di relazionarci con gli altri. Non significa essere i simpaticoni di turno o quelli che hanno sempre qualcosa da dire. Quella di costruire relazioni è una dote umana innata sulla quale noi possiamo incidere soltanto rispetto allo stile che vogliamo dare alle nostre relazioni (o che diamo senza neppure accorgerci). Il modo con il quale ci relazioniamo con gli altri è importante anche nell’ambiente di lavoro perché spesso condiziona anche la qualità di quello che facciamo: credo che sia abbastanza evidente il fatto che lavorare accanto a qualcuno che non parla quasi mai o, al contrario, a qualcuno che chiacchiera in continuazione, non sia il modo più agevole di farlo. Ma dobbiamo fare attenzione anche alle parole e agli atteggiamenti che abbiamo nelle nostre attività lavorative: dosare la confidenza con cui trattiamo i colleghi, rispondere con il giusto tono ad un responsabile, dimostrare affidabilità nel ricoprire le responsabilità. E anche cose meno evidenti come il modo di salutare, quello di parlare in pubblico e quello di rappresentare il posto in cui si lavora (specialmente se quel posto e lavoro sono facilmente riconoscibili all’esterno). La capacità di comunicare e di relazionarsi non è una capacità chiave per fare un lavoro, ma lo è di sicuro per trovarlo e mantenerlo.

La seconda capacità su cui voglio soffermarmi è la capacità creativa. È vero che spesso si è portati a credere che si tratta di un’attitudine che ha a che fare con l’essere artistici, istrionici o semplicemente originali, ma personalmente sono convinto che la creatività sia anche una capacità che tutti possiamo esercitare per migliorare. Di che cosa è fatta la creatività? In questo articolo di nuoeutile.it vengono descritte quali sono le quattro capacità creative fondamentali (fluidità, flessibilità, originalità ed elaborazione). Come sottolinea anche l’autrice Annamaria Testa, la creatività non è “spensieratezza” incosciente, ma “vuol dire, invece, avventurarsi in spazi creativi non ancora percorsi da nessuno, cercando soluzioni nuove ed efficaci. E sapendo che efficacia, semplicità e bellezza (o, in senso matematico, eleganza) spesso coincidono“. Perché la creatività può essere utile in (quasi) tutti i lavori? Secondo me perché il tempo che stiamo vivendo è mutevole, caratterizzato da forti e veloci cambiamenti ai quali possiamo reagire adattandoci velocemente o irrigidendoci sulle nostre posizioni. Il primo atteggiamento è quello che ci permetterà di sopravvivere, almeno professionalmente parlando e la creatività è un modo per mantenere sempre vivo un nostro atteggiamento positivo verso il cambiamento.

Un mercato del lavoro competitivo

Il mondo del lavoro è molto competitivo. Talmente tanto che la definizione di mercato di lavoro è diventata, col tempo, sempre più azzeccata. Perché, nel tempo, anche l’idea di mercato è cambiata. Mi ricordo che fino a qualche tempo fa facevo questo esempio nelle scuole quando dovevo spiegare la dinamica di domanda e offerta nel mondo del lavoro. Dicevo agli studenti di immaginare il mercato del lavoro come un mercato reale, quello con le bancarelle, in cui il loro obiettivo era quello di presentare a tutti al meglio la propria “merce” (competenze) perché non avrebbero saputo in anticipo quale tra i passanti sarebbe stato il loro cliente.

Era un modo come un altro per raccontare con una metafora come fossero importanti non solo gli invii dei curriculum, ma anche tutto il lavoro di relazione, comunicazione e, in sintesi, di costruzione della reputazione di se stessi. Oggi quel mercato si è un po’ affollato, popolato della gente più diversa: tra le “bancarelle” c’è più concorrenza, competizione, nascono nuove proposte. Ma anche tra chi va al mercato per acquistare (assumere) ci sono delle differenze rispetto al passato. La ricerca del personale si è fatta più elaborata grazie, per esempio, a internet e i social media. Questo rende il tutto molto più veloce e anche più ricco di informazioni.

Se state cercando lavoro questa cosa rappresenta una grande opportunità, perché siete nella condizione di conoscere molti aspetti del mercato del lavoro prima di metterci i piedi. I siti aziendali vi informano sulle attività e sulle esigenze delle imprese, i forum vi possono dare consigli e suggerimenti di chi ha partecipato a percorsi di selezione già conclusi, i social media vi possono far conoscere chi già lavora in un determinato contesto. Oggi voi potete così personalizzare e arricchire la vostra offerta di competenze (la bancarella) con molte cose e sfruttare molti consigli.

Sui consigli però bisogna fare attenzione e scegliere chi ascoltare. Rammentate l’adagio “non accettare caramelle dagli sconociuti”? Più o meno siamo nella stessa situazione. Per esempio circola la notizia che ci sono imprenditori che non trovano lavoratori perché si presentano candidati poco adeguati (come si legge in questo articolo de IlSole24Ore) o altri perchè i ragazzi interpellati preferiscono fare tardi la sera piuttosto che andare a lavorare la mattina (l’articolo in questo caso è di Leggo). Se frequentate poi una piattaforma come Linkedin, il social network professionale, trovate una serie storie sparse che un po’ di ansia la mettono: persone rimpiazzate in 10 minuti, candidati trattati come dei Rambo che devono essere pronti a tutto, giovani che dovrebbero avere una disponibilità 24/7 anche per un lavoro di ufficio. Dunque è vero che il mercato del lavoro è diventato così competitivo che dobbiamo rispondere a qualsiasi esigenza? No. La selezione è sicuramente più dura che qualche tempo fa, ma la soluzione non è quella di mostrarsi disponibili alla qualunque. E i giovani, magari voi che state leggendo, avete la stessa dignità e lo stesso valore (perlomeno umano) di chi vi sceglie. Dovete proporvi in maniera avvincente, non svendervi in maniera indecente. E questo sarà un valore anche per chi vi sceglierà per costruire insieme a voi una professione e un’azienda. Lo spiega meglio in questo articolo anche Osvaldo Danzi, recruiter professionista; ci ricorda anche che “La selezione del personale è un investimento alla pari in cui entrambe le parti devono dare e ricevere con equilibrio

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Licenziamento: come uscirne (quasi) indenni

Trovare IL lavoro, si sa, è impresa ardua, e come se non bastasse capita anche di dover fare i conti con una realtà ancora più avvilente: quella del licenziamento.

Dato che il lavoro, meta delle strade che abbiamo scelto di percorrere (o che in alcuni casi abbiamo intrapreso senza troppa consapevolezza), plasma la nostra identità, ci definisce come cittadini e, ultimo ma non meno importante, ci fornisce una fonte di reddito, quando si riceve il benservito è facile scivolare nell’apatia e mettere in discussione se stessi; la tentazione di sentirsi completamente inadeguati è molto forte e può diventare una sorta di autentico lutto, soprattutto per quelle situazioni lavorative che si credevano consolidate.

Il periodo di crisi economica, insieme alla realtà che continua ad avanzare verso nuovi modi di concepire il lavoro, non potevano che lasciarsi dietro scie di dispersi, ma ciò non significa che non ci si possa “ritrovare”.  Dal canto nostro, vogliamo darvi alcuni consigli:

Non perdete tempo: dopo il licenziamento è normale sentirsi svuotati e con la sola voglia di piangersi addosso, ma questo è il momento in cui è più che mai vietato lasciarsi andare.
Datevi giusto qualche giorno per superare lo shock iniziale, poi dedicatevi alla cura del vostro curriculum, aggiornatevi e studiate i modi più innovativi per scriverlo – qualche idea possiamo darvela anche noi – cimentatevi nella creazione di un video cv e visionatene molti per prendere spunto (e anche per divertirvi un po’: alcuni, come questo, sono delle vere e proprie chicche).
Imparate a scrivere una lettera (o meglio, una mail) di presentazione e impegnatevi a migliorare la vostra formazione: che si tratti di un nuovo hobby o di veri e propri corsi atti a sviluppare una qualche competenza o addirittura a ottenere una qualifica professionale, non fatevi sfuggire l’occasione di imparare e, conseguentemente, rendervi più appetibili per il mondo del lavoro. Se vi serve qualche spunto, provate a dare un’occhiata alla nostra sezione sui corsi di formazione.

Create un piano con delle scadenze: sul filone del punto precedente, il nostro consiglio è sostanzialmente quello di non lasciarsi andare al “caos”. Rispettare una di tabella di marcia da voi ideata, con i vostri tempi e gli obiettivi che desiderate perseguire, vi aiuterà ad affrontare con una sorta di paracadute il salto tra la realtà scandita da ritmi ben definiti, come quella della maggior parte degli impieghi e il periodo di vacanza-che-vacanza-non-è (non lasciatevi ingannare) nel quale vi siete vostro malgrado ritrovati.

Fatevene una ragione: sono molte le cause per le quali si può ricevere la famigerata lettera di licenziamento. Esclusi i motivi per i quali sospettate sia stato leso qualche vostro diritto (in questo caso un’altra raccomandazione: agite! Non fatevi scoraggiare da fantomatiche spese da sostenere o tempi lunghissimi. Provare almeno a informarsi potrebbe svelare che situazioni apparentemente irrisolvibili possono essere dipanate più o meno con facilità), ciò è dovuto anche al fatto che il mondo del lavoro è diventato molto più fluido rispetto a qualche anno fa: dandoci un po’ da fare con la metafora, si è passati dall’impiego-roccia, al quale si poteva restare abbarbicati più o meno per tutta la vita, al lavoro-acqua, multiforme, che richiede molta più capacità di adattamento e che, soprattutto, difficilmente resterà sempre uguale a se stesso e soprattutto sempre LO stesso.
Prendere coscienza di ciò può dare la forza di reinventarsi e di sviluppare delle abilità o competenze che magari erano state tralasciate e che possono invece rivelarsi necessarie per affrontare il mondo del lavoro attuale, sempre più “smart” e orientato all’ IT.

E per ultimo ricordate: anche noi possiamo aiutarvi! Che siate alla ricerca di un nuovo lavoro dopo aver perso il precedente o che dobbiate trovare il vostro primo impiego, o che magari stiate vagando alla ricerca della vostra strada in seguito a una crisi esistenziale, venite a trovarci! Possiamo aggiornarvi sulle ultime opportunità, confrontarci con voi e consigliarvi sulle vostre idee.

Non perdete l’occasione di scoprire nuove possibilità!

Il lavoro che ci sta a cuore

Che cosa ci fa stare bene nel nostro lavoro? La risposta meno nobile, forse più immediata è “lo stipendio”. Quanto guadagniamo è (troppo) spesso il metro di misurazione della nostra felicità. Ci siamo abituati così soprattutto da quando abbiamo cominciato a trovare soddisfazione nelle cose che compriamo più che nelle esperienze che viviamo. E, si sa, per comprare le cose servono i soldi.

Altri, in maniera più nobile, potrebbero dare come risposta la possibilità di mettere in campo le proprie competenze, di sviluppare la propria professionalità; certamente è uno degli obiettivi che possiamo darci quando lavoriamo ma io credo che non sia sufficiente. Può bastare per il primo periodo, per superare tutta una fase iniziale in cui è più quello che impariamo di ciò che possiamo dare. A un certo punto della propria carriera professionale, seppur frammentata oggi tra esperienze e luoghi diversi, viene da chiedersi un intimo e grande: “perchè”?

Ecco, la risposta a quel perché non può essere trovata solo in noi stessi, dobbiamo allargare l’orizzonte e provare a capire se il senso del nostro lavoro può risiedere anche in altro. Credo (ma non ne sono sicuro perché non è il mio mestiere) che questo senso o motivazione ulteriore, per esempio, un medico lo possa trovare nel guarire le persone, un ricercatore o uno scienziato nel far progredire l’umanità, un insegnante nell’educare. Ma tutti gli altri? La risposta, in parte, si può trovare in questo aneddoto, tornato alla ribalta pochi giorni fa. Quando John Fitzgerald Kennedy visitò la Nasa, vide un uomo delle pulizie con una scopa in mano e gli chiese cosa stesse facendo. L’uomo gli rispose: ‘Signor Presidente, sto contribuendo a mandare un uomo sulla luna’. Avere uno scopo è quella sensazione di appartenere a qualcosa di più grande di noi, di essere necessari, di lavorare per qualcosa di meglio. Lo scopo è ciò che crea la vera felicità.

L’aneddoto è tornato in auge alla notizia che Facebook, secondo un’indagine del sito Grassdoor, risulta essere una delle aziende più apprezzate da chi ci lavora o vuole lavorarci. Il motivo fondamentale, secondo il fondatore del sociale network, è che chi sta in Facebook sente di appartenere a un progetto e a uno scopo che va oltre il denaro, le proprie competenze, la propria persona. Intervistato, un ingegnere di Facebook afferma che “la cosa davvero interessante è che siamo motivati costantemente a risolvere i problemi che ci stanno più a cuore”.

Credo che fare e impegnarsi per le cose che ci stanno più a cuore sia anche il segreto per costruire la propria carriera professionale fin dall’inizio, da quando andiamo a scuola o affrontiamo l’università A volte può sembrare paradossale, altre ci sembrerà di sprecare tempo, altre ancora penseremo che ci stiamo dedicando a qualcosa che è un passatempo e non un lavoro. Ma, sul lungo periodo, occuparci delle cose che maggiormente amiamo sarà un successo.

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Smart Working: come il futuro ci renderà lavoratori intelligenti.

Cosa viene in mente quando si pensa alla parola ” lavoro “? Diciamoci la verità, la maggior parte di noi si figura la classica scrivania sotto la quale dover tenere i piedi dalle 9.00 alle 18.00, o comunque un posto in cui ci si deve recare fisicamente e in cui si deve restare per un periodo  prefissato di tempo.

Il suo opposto (ma è anche molto più di questo) si definisce invece Smart Working.
Ma partiamo dall’inizio: cosa significa Smart Working?

Ringraziando il super smart blog Medium, riportiamo testualmente la definizione che ne dà: ” Lo Smart Working è una pratica che si sta diffondendo sempre di più nelle società che operano nei cosiddetti Knowledge Works, o lavori di ingegno. Cioè tutti quegli ambiti lavorativi (grafica, design, sviluppo software, consulenza) che si basano, prevalentemente, sull’ uso del proprio cervello coadiuvato da strumenti digitali e software e che non hanno necessità, se non saltuariamente, di accedere a strumentazioni fisiche vere e proprie […] “.

Questa nuova (almeno in Italia) forma di lavoro – che dal mese di maggio è ufficialmente regolamentata e tutelata dallo Stato – si regge su alcune caratteristiche:

  • È flessibile: lo smart worker utilizza gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione per lavorare non più solo in ufficio – e nemmeno più solo in casa, perché smart working e telelavoro non sono sinonimi!- ma ovunque ci sia la possibilità di praticare il cloud computing (che, detto in maniera molto povera, sta a significare l’utilizzo di servizi in modalità remota grazie a software e spazi di archiviazione accessibili ovunque, con una semplice connessione Internet. Per chi vuole saperne di più, ecco maggiori info) quindi bar, biblioteche, spazi di coworking e chi più ne ha più ne metta.
    Flessibilità è anche quella oraria: con lo smart working i vincoli di orario perdono un po’ del loro significato, mentre assume molta più importanza il lavorare per un progetto o per un obiettivo.
  • Ha bisogno del supporto di alcune tecnologie: quella del cloud computing, come appena visto, ma anche quella delle mobile business application, applicazioni cioè che consentono di gestire completamente il lavoro, dalla customer relationship management alla logistica, a prescindere dal luogo in cui ci si trova.
    Inoltre, dato che lo smart working vive all’interno della dinamica aziendale e non può prescindere da questa, saranno necessarie tecnologie che consentano la comunicazione e il contatto tra colleghi in maniera costante e praticamente istantanea anche se non ci si trova fisicamente negli stessi luoghi: da qui si comprende quanto sia importante la tecnologia del social computing, cioè della connessione tra individui in rete.

Insomma, lo Smart Working sembra rappresentare il futuro, un futuro che con l’aiuto della tecnologia sta creando un lavoro sempre più agile, snello, connesso, – smart – se si vuole utilizzare l’invidiabile efficacia della sintesi anglosassone. Un lavoro che, pur restando inserito all’interno di una dinamica aziendale, “dona” una libertà abbastanza simile a quella del libero professionista.

Ma il cambiamento che forse non salta agli occhi è sicuramente quello più importante: fatti fuori i vincoli di orario e di presenza in una sede fisica, l’asse portante della definizione di “lavoratore” si sposta dai doveri di tempo e presenza in un dato luogo, a quello di maggiore responsabilità che il lavoratore, grazie alle sue nuove libertà dovrà assumersi, in quanto, ovviamente, la mancanza di “vincoli” non deve impattare sulle performance richieste dall’ azienda.

La direzione intrapresa quindi, sembra proprio quella che renderà i lavoratori più consapevoli e orientati al risultato, piuttosto che al tempo, e anche se questa rivoluzione (perché tale è la portata del cambiamento) non sarà immediata, non dovrà trovarci impreparati, soprattutto chi nel mondo del lavoro dovrà vivere ancora per molti anni.

Dal canto nostro, vi aspettiamo all’Informagiovani, dato che il nostro spazio è utilizzabile anche per lavorare!
Che siate degli smart worker in cerca di un luogo tranquillo o un aspirante libero professionista che ha bisogno di un posto ben attrezzato in cui cercare ispirazione e iniziare a muovere i primi passi, ma anche se fate parte di un gruppo di studio o di persone con in mente un progetto da far decollare, venite a trovarci durante i nostri orari di apertura, perché diventare smart è più facile di quanto sembra!